Yoga & Arpa: Vibrazioni per il solstizio d’inverno

per risvegliare il sole, la sua luce e la sua energia

Sabato 21/12/2019 ore 11

Presso Amrita, Yoga e Ayurveda, in via dei Georgofili, 149 Roma

 Sul piano simbolico, accompagnare il passaggio della soglia dell’ Inverno significa passare dalle tenebre alla luce, dall’inconsapevolezza alla  consapevolezza della coscienza di sé. Per meglio entrare in questo percorso di luce interiore  è possibile coniugare la pratica dello Yoga    con le vibrazioni e le risonanze dell’Arpa.

L’Arpa è uno strumento archetipico profondamente radicato nell’inconscio collettivo dell’umanità e  le sue  vibrazioni  aiutano a immergersi dolcemente nella profondità della psiche per ritrovare armonia e serenità, nella sensazione di essere sostenuti da un tappeto sonoro.  Il suono dell’Arpa, insieme alla vibrazione delle sue corde,  consente di vivere, attraverso  le posizioni dello yoga, un’esperienza unica  di fusione del corpo fisico, energetico e spirituale. Il percorso musicale specifico per il Solstizio  d’Inverno accompagna  tutta la pratica yogica e lo yoga Nidra   ed è mirato   a potenziarne   gli effetti  prodotti.

Lo Yoga Nidra, sonno cosciente, si propone, in conclusione  del viaggio esperienziale, come  pratica meditativa  solstiziale unica,  che parte  dalla profondità  della psiche   per risalire, attraverso le corde dell’arpa,  in  superficie.

Conducono la pratica sonora: Sabrina Arathi Giannò, insegnante di ananda yoga, e Sira Sebastianelli psicoterapeuta e arpaterapeuta.

Seguite l’evento cliccando sul seguente link:

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Le Palme Rinascenti oltre il punteruolo rosso

Palme  Rinascenti

Quasi dieci anni fa, scrissi su  Third Life (giugno 2010), un articolo sulle palme che stavano morendo sotto l’inesorabile azione distruttiva del punteruolo rosso. Tante palme, in questi ultimi dieci anni, sono state “decapitate” o abbattute, per l’impossibilita di salvarle. Una strage che nel tempo ha colpito anche altri alberi come l’ulivo. L’albero che muore è sempre un indicatore di una disfunzione  della Natura, provocata spesso dall’ incuria e mal custodia umana del patrimonio naturalistico. Mi è capitato, spesso, di osservare le palme alla ricerca di un segnale di ripresa che lasciasse percepire una metaforica salvezza  dell’umanità, senza risultato, finché, qualche giorno fa, un ciuffo che cresceva al centro del tronco decapitato di un palma ha fatto  rinascere la speranza. Palme che ritrovano la forza e la voglia di ritornare a vivere. La palma, simbolo di immortalità,  che si è fatta mortale,  per dare esempio di  quanto l’imponderabile sia anche imprevedibile. Il terzo millennio è caratterizzato dalla massima innovazione tecnologica in tutti i campi della scienza, ma  sempre più si troverà a fare i conti con eventi  che segnano  il confine tra il digitale e il reale, tra l’essere umano sempre più scollato dal mondo della  Natura e la Natura stessa.  L’osservazione della Natura è sempre importante, perché è il termometro della Terra, indica lo stato di  salute del mondo che abitiamo. Ogni gesto ha una conseguenza, non dobbiamo dimenticarlo, anche perché non si può e non si deve tornare indietro, quindi la scienza deve fare il suo corso, ma la strada da percorrere deve sicuramente essere una strada alberata, altrimenti stiamo  solo percorrendo il deserto.

Clima, un anagramma che ci parla

Il Clima, inteso come termometro della salute del Pianeta Terra, è l’argomento più discusso e dibattuto  a livello mediatico, con articoli, dossier e reportage. Ghiacciai che scompaiono, livello del mare che si eleva, fiumi che esondano, bolle d’acqua che esplodono e fuochi che divampano, tutti sintomi preoccupanti sia  per la prognosi del malato Pianeta Terra, sia  per la cura salvifica da trovare.  Con il termine clima, se si provasse a fare un anagramma, risulterebbe in italiano la parola calmi, mentre in inglese la parola claim, nel significato di richiesta. Calmi e richiesta, parole che  si nascondono tra le pieghe del clima, tanto imperativa la prima, quanto  supplichevole la seconda. Cosa se ne può dedurre? Che il Pianeta Terra attraverso il clima  chieda agli essere umani di stare calmi, cioè di affrontare il problema con ponderazione, ascoltando  le grida di sofferenza degli elementi della Natura, terra, acqua vento e fuoco?  Sicuramente,  il  succedersi di eventi atmosferici inusuali e spesso catastrofici,  sollecita  la ricerca di soluzioni,  che, trovare   velocemente, magari con ansia, può servire a poco.  La richiesta supplichevole del Pianeta Terra  è di fare presto, ma senza fretta! Le fondamenta dell’ educazione al rispetto del Pianeta sono da rinsaldare, affinché  si possa edificare una struttura fatta di comportamenti dalle conseguenze non distruttive per l’ambiente, di ricerca della bellezza intrinseca delle cose, dei valori della vita e della consapevolezza del significato dell’esistenza. La Terra richiede empatia, cioè provare a osservare quanto accade come se, per un attimo, la Natura, di cui siamo figli, fossimo noi,  la cui casa venisse tutti i giorni violata da ospiti inattesi e indesiderati. Un grattacielo di sapere, conoscenza, educazione, consapevolezza ed empatia potrebbe salvare il Pianeta Terra e il suo clima, ma è necessario costruirlo facendo ognuno la propria parte, con un mattoncino di amore e di desiderio per il proprio benessere e quello degli altri.

TRASLOCO: dalla terza vita alla nuova vita

Il termine trasloco, dal latino trans loci, evoca cambiamenti  di luoghi fisici che possono riguardare trasferimenti in nuove città o in nuove case dove vivere e abitare. Un trasloco è un’operazione molto complessa perché richiede  il trasferimento   di anni di  vita, tradotti in oggetti come vestiario, utensili o ricordi,  in contenitori asettici da affastellare in un grande mezzo di trasporto, che si farà artefice del passaggio da un luogo a un altro. I passaggi  comportano il coinvolgimento di emozioni, stimolate dalla separazione da  luoghi reali, ma anche virtuali, come il trasloco che da thirdlife.it   conduce a sirasebastianelli.it,   una nuova vita che nasce  dalla terza vita. Third Life, però, continuerà a produrre come sempre in uno spazio dedicato, per dare il senso della continuità all’interno di un  contenitore più ampio.  Third Life come  un filo rosso che congiunge il passato al futuro, attraversando il presente,  per meglio coniugare il virtuale con il reale, metafora del mondo interno e del mondo esterno.

Per salvare il Pianeta Terra

Una decina di anni fa rilasciai l’intervista qui riportata  all’ADN Kronos, che su questo sito venne in seguito  ripresentata. Oggi alla vigilia della giornata dedicata alla Terra e alla  sua salute  ripropongo l’intervista  per sottolineare quanto sia difficile modificare comportamente e abitudini, affinché si possa realmente e attivamente salvare il Pianeta dall’inquinamento.  In questi  ultimi dieci anni ben poco è cambiato, perchè per aiutare la nostra casa naturale  dovremmo, oltre che parlare,   coscientemente agire, partendo da se stessi, sempre, per non ristrovarsi nello scenario prefigurato da Bob Dylan nella sua ballata “Hard Rain”!

Roma, 30 set. (Adnkronos) – Non riusciamo a rispettare l’ambiente, “nostra casa naturale”, perchè non riusciamo ad “investire sul futuro. Oggi, infatti, l’umanità assiste ad un progressivo declino della qualità della vita” e “vive come se ogni giorno fosse l’ultimo”. Per invertire la tendenza servono progetti scolastici idonei a formare le generazioni più giovani. Negli adulti, invece, la formazione di un pensiero ecologico richiede molto di più: “un lavoro corale” che coinvolge istituzioni, mass media e naturalmente ogni singolo individuo” attraverso il quale passare dalla catarsi alla trasformazione”, in altre parole, resettare e riconfigurare partendo da una maggiore capacità di avere cura di sè, della propria ‘casa interna’ per poi percepire più profondamente la propria ‘casa esterna’ e così averne naturalmente cura. Sira Sebastianelli, psicologa e psicoterapeuta, spiega all’ADNKRONOS il proprio punto di vista sul perchè sia ancora così poco diffusa la sensibilità ambientale, nonostante gli allarmi di tanti e autorevoli organismi internazionali.

 

“Il mondo della natura – argomenta – è paragonabile al mondo dell’inconscio umano dove si abbandonano, utilizzando un meccanismo di difesa chiamato rimozione, resti psichici che non possono abitare la coscienza. Un inconscio impermeabile e permeabile come il mondo, dove ciò che vi si deposita a volte penetra nella profondità e a volte rimane in superficie. Tutto il materiale tangibile o intangibile, però, lascia traccia di sé e sedimenta stratificandosi dalla profondità alla superficie, da dove spesso è complesso e difficile far riaffiorare contenuti che devono farsi strada tra strati calcarei contaminanti che ne modificano la struttura originaria. Quando si gettano pezzi di carta o cicche di sigaretta per strada, dove cadono? Nel mondo cosciente o nel mondo inconscio?”.

“Nel mondo cosciente – sottolinea Sebastianelli – rimangono le scorie materiali di un gesto privo di senso civico che qualcun altro può raccogliere, ma nel mondo inconscio precipitano le scorie dell’anima attraverso un gesto pregno di significato, che nessuno, tranne una ritrovata consapevolezza del responsabile può raccogliere. Solo facendo luce sulle motivazioni profonde dell’incuria, si possono diradare le ombre della distruttività di sé. Un metallo prezioso come l’argento ci può aiutare a capire cosa accade all’animo umano nel corso della sua esistenza”.

“L’argento, come si può verificare su un qualunque oggetto creato con questo metallo, reagisce all’aria e perde la sua brillantezza, fino ad arrivare lentamente all’opacità primitiva: mai si sospetterebbe che sotto quello strato color antracite si nasconde una lucentezza argentea. A questo punto – continua – proviamo una associazione paradossale e azzardata tra l’essere umano e l’argento, ma che forse ci aiuta a comprendere l’intermittenza dell’energia profusa da ognuno di noi per salvare l’ambiente. Il bambino quando nasce è proteso a soddisfare i suoi bisogni primari, completamente dipendente dalla madre o da una figura primaria per sopravvivere, seguendo quello che Freud chiamava principio di piacere, cioè il bisogno di rispondere al desiderio di mangiare, dormire etc. senza differire nel tempo il soddisfacimento dello stesso”.

“Con il passare dei mesi, attraverso l’educazione, le migliorate capacità di interazione con l’ambiente e lo sviluppo cognitivo, che consentono un miglior adattamento alla realtà secondo quello che Freud chiamava il principio di realtà, il bambino – dice la psicologa – riesce a differire il soddisfacimento dei bisogni. Ora, guardando il declino della qualità della vita nel mondo in cui viviamo, sembrerebbe che il principio di realtà sia sopraffatto dal principio di piacere, che risponde al motto ‘tutto e subito’. Una persona risponde solo al proprio bisogno, senza curarsi dei bisogni degli altri e senza prevedere gli effetti che il soddisfacimento immediato di un certo bisogno può produrre, come il gettare una cicca di sigaretta ovunque capiti”.

“Il processo regressivo, probabilmente, che coinvolge l’essere umano, per non dire il genere umano, nel momento in cui si sente dipendente, bisognoso di avere qualcuno che si occupi di sé, non più protagonista della propria vita – spiega Sebastianelli – attiva il principio di piacere a detrimento di quello di realtà, lo stesso processo che avviene nell’argento che dalla opacità (fase primitiva, principio di piacere) passa alla brillantezza (fase più evoluta, principio di realtà) per poi tornare alla opacità se lo si abbandona, pur conservando, però, la potenzialità luminosa”.

Come fare per riportare alla luce quelle potenzialità che consentirebbero un miglior rispetto di sé e degli altri? “Se differire il soddisfacimento di un bisogno è difficile se non impossibile, evidentemente – chiarisce – non si riesce ad investire sul futuro perché non lo si intravede, ed è inevitabile non prevedere le conseguenze di un proprio comportamento. L’umanità oggi vive come se ogni giorno fosse l’ultimo, nonostante vengano messi al mondo bambini che sono la personificazione del futuro”.

Allora, cosa c’è che non va? Qual è il significato di questa contraddizione? “Forse – ragiona la psicoterapeuta – è la conferma della inconsapevolezza in cui siamo precipitati, al punto di non avere più senso critico e forse è il senso di abbandono che l’uomo del terzo millennio vive sempre più, che lo spinge, senza successo, a ricercare gli altri, non per cercare un confronto, ma per avere qualcuno cui potersi affidare per lasciarsi andare ed essere protetto, accudito… amato. Più ricerca, però, l’altro per non sentirsi solo e più cade nel pozzo dell’isolamento, più cerca di aggrapparsi e più si sente respinto”.

“Con questo stato d’animo di disperazione devastante quale principio etico può supportare il rispetto di sé e del mondo in cui si vive? Se l’essere umano non riscopre sé stesso e il significato più profondo dell’esistenza – evidenzia Sebastianelli – non si può recuperare nulla. Un punto da cui partire è proprio il significato della parola natura, che in passato si scriveva con la N, maiuscola, per sottolineare una entità a cui rivolgersi con doveroso rispetto sempre e non solo, come avviene oggi, quando la sua forza si manifesta con eventi catastrofici. Il termine naturale, poi, si usa giustamente come contrario e opposto al termine artificiale, ma anche come erroneo sinonimo di semplice. In realtà, in Natura nulla è semplice, anzi non c’è niente di più complesso. Meno si vive nella consapevolezza di essere costantemente in contatto con la Natura e più la si sottovaluta. Specialmente nelle città si perde di vista il mondo in cui si è immersi dove tutto sembra possibile e nessun limite viene tracciato”.

“Non è un caso che si ricorra sempre più ai divieti, anche per avvertenze banali dove basterebbe un po’ di senso civico, proprio perché l’infatilizzazione dell’essere umano non prevede l’attenzione a sé e al mondo, richiedendo il controllo costante di una autorità. Ovviamente, più c’è chi veglia e controlla – avverte Sebastianelli – più non matureranno le condizioni interne per sviluppare autonomia, e qui si entra in una strada senza via d’uscita. Il controllo degli uomini si può allentare parallelamente alla crescita della autonomia, attraverso l’educazione insieme alla responsabilizzazione, e al consolidamento della fiducia dei ‘controllati’ in sé stessi per farli sentire sempre più protagonisti della propria vita”.

“Il proliferare dei graffiti e dei tatuaggi – osserva la psicologa – è la cartina tornasole di un disagio che serpeggia, ovunque. Tale disagio lo chiamerei ‘la sindrome di nessuno’, cioè non sentirsi riconosciuti, al punto di preferire, paradossalmente, alla visibilità della trasparenza la invisibilità dell’apparenza. Trasparenza vuol dire essere più visibili a sé stessi e agli altri, lasciando intravedere la sostanza interna, cioè l’anima, mentre apparenza vuol dire essere solo sostanza esterna, cioè materia, e ancor più invisibili a sé e agli altri, mostrando solo esteriorità. L’esteriorità rende invisibili, mentre l’interiorità rende visibili. Ecco che l’argento ritorna. Questo metallo, infatti, trova la sua luminosità solo quando si rimuovono gli strati superficiali che lo opacizzano”.

Per realizzare un progetto di cambiamento nel rapporto tra “Uomo e Natura – dice Sebastianelli – sarebbe utile che i quattro stadi a cui fa riferimento la psicologia analitica di Jung nel trattamento terapeutico, venissero applicati alla società in questa sequenza. Primo, l’educazione, punto di partenza per dare impulso al processo che condurrà alla consapevolezza di sé, attraverso il proporre punti di vista diversi rispetto al modo di affrontare la vita. Secondo, la chiarificazione, passaggio dalla comprensione puramente razionale degli eventi ad una più emozionale. Terzo, la catarsi: attraverso gli stadi precedenti si può giungere alla purificazione, che consente di nascere a nuova vita. Quarto, la trasformazione: elaborazione dei processi consci ed inconsci per poter raggiungere la metamorfosi”.

Quale applicazione pratica potrebbe avere tale progetto finalizzato alla produzione di un pensiero ecologico ? “Le prime due fasi, dell’educazione e della chiarificazione – dice Sebastianelli – potrebbero trovare applicazione all’interno di progetti scolastici, per formare le generazioni più giovani ad un pensiero ecologico, che renderebbe del tutto naturale comportarsi in sintonia con le esigenze dell’ambiente”.

Mentre, “le generazioni più adulte dovrebbero attraversare, invece, tutte e quattro le fasi per poter ipotizzare la formazione di un pensiero ecologico. Per questa finalità i mass media potrebbero essere di aiuto”. Non aiuta invece “la dilagante proposta di quiz di abilità per far veder quanto si è bravi ad associare, controllare o indovinare – sostiene la psicologa – L’uso del pensiero sarà faticoso, però va incentivato, anche sotto forma di gioco poichè è l’unica ancora di salvezza”. E per gioco, Sebastianelli, intende spazio creativo, domande che richiedano l’elaborazione di un pensiero e consentano risposte aperte e non chiuse come quelle dei quiz. “L’Umanità – rimarca – è sopravvissuta ed è progredita perché pensava, anzi speculava tra i meandri della mente, oggi questa attività non si pratica più e le conseguenze si vedono”.

“Solo con un lavoro speculativo del pensiero, costante e continuo – conclude Sebastianelli – si può ipotizzare di mantenere il rispetto di se stessi e della natura. L’argento se si abbandona perde la sua lucentezza, così come l’essere umano, se abbandona se stesso perde la sua luce interiore ed emerge il suo lato oscuro… primitivo… ctonio che Carl Gustav Jung chiamava Ombra”.

29 OTTOBRE 2018 UN OSPITE INATTESO A TERRACINA

 

29 OTTOBRE 2018. Un ospite inatteso a Terracina

 

 

29 ottobre 2018, un  uragano di intensissima forza ha investito la città di Terracina, lasciando, in pochi secondi, dietro di sé morte e distruzione. La città non aveva mai registrato una calamità naturale così violenta, al punto di lasciare   tutti gli abitanti  annichiliti e attoniti.

Molte le zone della città colpite e distrutte  dall’inimmaginabile vento, che con il tempo potranno essere ricostruite per come erano, ma  ciò che non potrà essere più  come prima è il viale della Vittoria, luogo storico di passeggiate e incontri all’ombra dei pini marittimi,  cresciuti  insieme  a molte generazioni di terracinesi. Gli alberi che rendevano unico il panorama della città non esistono più, crollati sotto l’onda sferzante del vento impetuoso. Tra l’altro,  gli alberi furono  piantati cento anni fa, in occasione della vittoria della Prima Guerra Mondiale, dai  prigionieri  che espiavano la colpa, di essere nemici,  con la pena  che oggi si chiamerebbe “lavoro socialmente utile”.  Alberi che rappresentavano la vita che rinasceva,  insieme alla necessità  di elaborare i tanti lutti che la grande  guerra aveva prodotto. Purtroppo, le guerre non finirono cento anni fa e ancora sacrifici di vite umane  si sono consumati nel tempo, senza aver mai  potuto piantare alberi della vittoria. L’albero è il simbolo della vita, la salute di un albero equivale alla salute dell’umanità e la perdita di un albero  depaupera il patrimonio dell’umanità. Oggi  la città di Terracina è più povera,  spogliata del  suo canale verde e della sua fauna,  deprivata dei raggi di sole che filtravano, con  un gioco di luci e di ombre, tra le fronde aghiformi dei pini.  Pini maestosi che erano diventati rassicuranti con la loro presenza immobile e paziente, testimoni silenziosi di eventi piacevoli e tristi che i cittadini terracinesi  hanno  vissuto in quest’ultimo secolo. Il sacrificio della città di Terracina   sicuramente lascerà traccia nell’immaginario collettivo, ma sarà anche utile che non se ne perda memoria, perché il ricordo del dolore consente di migliorare la vita, riconducendo al cuore dell’esistenza  e ai suoi valori. L’immagine degli alberi sradicati  deve evocare ancor di più le proprie radici  che affondano  nella Grande Madre Terra, contenitore dei  semi della rinascita e, quindi, della nuova vita.

Tra i pini sacrificati alla furia di Eolo ci sono anche i Due Pini della via omonima, che, come le torri gemelle,  rimarranno assenti  nella loro acuta  presenza, a testimonianza della imperscrutabilità della Natura che non consente previsioni. L’essere umano  a volte dimentica di appartenere alla Natura, le cui leggi, anche se incomprensibili e inaccettabili, si rispettano.  Chi naviga nei mari in tempesta, con i venti che giocano a rincorrersi tra le onde, è consapevole  di quanto sia importante   tenere  saldamente il timone in mano e  navigare a vista, modificando se necessario la rotta pur di arrivare in un porto sicuro,   lo stesso cui giungere psicologicamente nei momenti  difficili, per sentirsi accolti, protetti e sicuri. In questo momento storico siamo  naviganti nel  mare in tempesta, ma l’unico modo per resistere è accompagnare con flessibilità gli eventi, per comprenderli  e adeguare la rotta alla necessità del momento, affinché si possa con fiducia approdare in acque sicure.

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

(terracinese)

Fotografare la Notte

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Mito Roma, supplemento di International Urbis et Artis, N.1 Gennaio Febbraio 2018

FOTOGRAFARE LA NOTTE

Cosa si può fotografare di notte, senza usare luci artificiali?  L’essenza  del Mondo!  Un mondo sfrondato del superfluo e dei bagliori offuscanti del giorno.

La notte evoca  il buio, la paura ancestrale che l’essere umano porta con sé fin dalla nascita, quando, nella separazione dal caldo e rassicurante contenitore materno, si è ritrovato solo  nel mondo ad affrontare i mostri della sua esistenza.  La paura, così, diventa un motore propulsivo per conoscere l’inconoscibile, per attraversare l’impensabile, per abbracciare l’impalpabile forma della notte.  L’ambiguo fascino della notte attrae come il canto delle sirene, provocando un desiderio irrefrenabile di conoscerla e svelarla alla propria coscienza.  Un giovane fotografo peruviano Musuk Nolte, vincitore dell’edizione 2017 della Elliot Erwitt Havana Club7 Fellowschip, ha  ritratto Cuba di notte  offrendone una lettura più vicina al sogno che alla realtà.  In un’ intervista da lui rilasciata al Corriere della Sera   e pubblicata sul magazine Style (n.11 novembre 2017), Nolte spiega la scelta di intitolare la serie delle sue foto  “Ombra sull’Isola”, per  cogliere l’ombra di un’isola che in realtà è impossibile da vedere.  L’artista,  nel buio lunare, imprime sulla pellicola il naturale  corso della vita attraverso volti, sguardi,  paesaggi, con l’inevitabile filtro della notte  che nasconde dettagli, ma amplifica emozioni.

In un  famoso film “Effetto Notte”, il regista  Francois Truffaut, cercava  la  notte  cinematografica per immergervi una storia che evidenziasse la notte della coscienza dei personaggi,  all’interno di difficili relazioni. Musuk Nolte, come il regista francese, cerca la notte nella realtà,  senza effetti   speciali, ma con lo stesso intento di cogliere l’ombra della notte che contiene l’ombra della vita,  invisibile, ma dirompente e trasgressiva.

 

Sira Sebastianelli

Psicologa-psicoterapeuta

2018, infinito verticale


2018 alle porte, un numero nuovo da memorizzare e una nuova agenda da riempire. Per quanto non se ne sia consapevoli sono tante le aspettative che si ripongono nel nuovo anno, perché c’è il desiderio di cambiare e  di trovare stimoli per averne il coraggio. Come spesso mi è capitato di scrivere, ogni giorno che passa  non ci trova più vecchi di ieri, ma più giovani di domani, cercando di cambiare prospettiva rispetto al tempo che passa,  per  non vivere la costante sensazione di essere fuori tempo. Capita di sentire espressioni come “ormai, è tardi!”, ma qual è il metro di misura per decidere il superamento del limite?  La vita porta con sé il senso del limite, ma non è l’età  cronologica che lo decreta. Perché, allora, non provare a entrare nel 2018 con la sensazione di infinito che il numero 8 evoca, come simbolo di un infinito verticale, che ancora di più consente di elevarsi verso  nuovi obiettivi cercando se stessi in dimensioni da esplorare e conoscere?

L’augurio che si può fare a se stessi, per il 2018, è proprio quello di accompagnare il tempo come alleato di una vita che per essere vissuta ha  bisogno, paradossalmente,  del tempo, perché  ne segna  il valore infinito  nonostante la  finitezza dell’essere umano.

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

 

25 NOVEMBRE 2017

 

Introduzione al progetto:

UN’ÀNCORA PER NON DIRE PIÙ ANCÒRA:

cambiare accento per cambiare prospettiva

 

 

Quale differenza può fare un accento?

I media  riportano per l’ennesima volta la  notizia di un efferato delitto perpetrato nei confronti di una donna da parte del proprio uomo o del branco selvaggio, e l’espressione più istintiva che dirompe dalle corde vocali è : ancòra!

Se provassimo a cambiare l’accento e si cercasse un’àncora per fermare l’irrefrenabile scia di morte che l’umanità sta lasciando dietro di sè?

L’àncora  per le morti delle donne ancora non esiste,  perché non è chiaro su quale sponda debba  approdare la nave della consapevolezza del valore della vita umana. La mano del carnefice non ha età, come non ha età la vittima.

Le domande che si rincorrono nella mente per capire il senso di tanta crudeltà,  rimbalzano sul muro dell’incredulità.

Il disorientamento che si prova di fronte all’imprevedibiltà della mente umana fa vacillare ogni punto di riferimento, che si riteneva stabile nel concepire il confine tra il bene e il male.  La labilità del confine  pone l’essere umano nella zona buia della sua coscienza, dove tutto si confonde e tutto svanisce: certezza, sicurezza, chiarezza, stabilità etc. È a questo punto che si cerca un approdo per potersi fermare e gettare, così, l’àncora, per osservare, capire e cambiare qualcosa, affinché  si possa ripartire in sicurezza nella vita di tutti i giorni, senza insidie e paure.

 

L’àncora per le  vittime,  che cadono ogni giorno sul campo di battaglia per la libertà,  richiede il lavoro di tutti, per ritrovare il valore e il senso della vita  da dove ripartire, oggi più che mai, tendendo una mano alla solitudine, al dolore, alla sofferenza, al silenzio di chi non ha più voce se non per dire: ancòra!

Il verricello che accompagna l’àncora a cercare un appiglio, va attivato subito, affinché   si fermi la navigazione dell’ umanità, inconsapevole delle regole della convivenza e della condivisione. L’epoca in cui viviamo, è caratterizzata dal tutto e subito, quando, per esempio, non si sa aspettare per differire il soddisfacimento di un bisogno, la cui frustrazione può trasformarsi, per alcuni, in un delirio persecutorio. L’accelerazione della vita sta producendo una totale assenza del tempo necessario alla  metabolizzazione degli eventi, affinché si possano trarre  insegnamenti utili  dalle esperienze di vita. Gli accadimenti mortiferi di oggi, perpetrati nei confronti delle donne,  impongono una riflessione  che non circoscriva la responsabilità  all’imponderabile, ma a quanto è stato costruito in modo stereotipato negli anni intorno alla figura e al ruolo della donna all’interno della società, al punto che l’emancipazione della donna  non abbia avuto giusta corrispondenza  nella costruzione delle  coscienze. La divaricazione tra i cambiamenti che riguardano il mondo femminile, con la percezione consapevole di essi,  produce un’ inevitabile incomprensione con il mondo maschile che, per quanto accetti razionalmente l’emancipazione della donna, ancora non ne è pronto emotivamente, culturalmente, antropologicamente a interiorizzarlo.

L’àncora, simbolo del cambio di prospettiva, richiede un cambio di accento nella  cultura, nell’ambiente educativo e pedagogico da parte delle famiglie e delle istituzioni, oltre al cambio di accento  nelle aspettative di   funzioni  femminili, in considerazione  del  ruolo che ha  la donna all’interno della società del terzo millennio.

Il tempo del  cambiamento delle coscienze, sarà lungo e impervio, però possibile, ma sarà necessario un tempo lento e costante, perché l’essere umano non è un robot,  la vita non è un computer e, ancora di più, è irripetibile e irreversibile. Il pensiero irreversibile è un’acquisizione  matura fin dall’infanzia, ma  che l’adulto ha inibito nella presunzione onnipotente  di poter rimediare a  qualunque comportamento, paradossalmente, anche mortifero, come se fosse  concesso un game over.

Solo recuperando il tempo, il significato, il valore e il rispetto per la vita propria e dell’altro,  è possibile cambiare prospettiva e cambiare accento, per trovare il giusto passo verso la consapevolezza.

 

Il progetto “Un’àncora per non dire più ancòra” è partito l’8 marzo 2017 e continuerà il suo cammino con iniziative che  cercheranno di dare continuità alla riflessione psicologica sul mondo femminile.

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

Concerto per l’Ombra

CONCERTO PER L’OMBRA

 

La possibilità di assistere a un concerto in un   carcere è un’esperienza che travalica qualunque aspettativa. Quando si  ascolta un concerto in un auditorium o in un teatro, ci si trova immersi in un’atmosfera suggestiva, che consente di sprofondare nella rete pentagrammata che la composizione eseguita consente, per lasciarsi  andare alla leggerezza della musica, ipotizzando che le stesse sensazioni possano essere riproducibili in qualunque situazione analoga, ma non è così!   Il luogo in cui si svolge un concerto ha la sua peculiarità,  che ne caratterizza il senso e la finalità. Se, infatti,  il luogo è un carcere e   gli spettatori sono detenuti,  la musica assume un valore indescrivibile.  Le regole cambiano, non si entra con un biglietto, ma con un permesso e gli spettatori  non entrano  come capita un po’ alla volta, ma tutti insieme, come un nucleo uniforme senza identità e senza individualità.  Un nucleo  di energia compressa e blindata, affinché possa depotenziarsi attraverso la contenzione al di là del contenimento.   Il piccolo popolo tra le sbarre evoca il piccolo popolo che abitata in ognuno di noi e che chiede di essere ascoltato, accolto e  decodificato per essere tradotto nella luce della coscienza e  renderlo comprensibile  nel suo significato.  L’ombra lunga della colpa  cela il tormento  di una vita  che stenta a trovare un suo centro intorno a cui edificare progetti e desideri, invece di  azzardo e trasgressioni.  L’incontro con il piccolo popolo, che dall’immaginario collettivo entra nella realtà individuale,  ha un effetto dirompente che esplode in un’emozione che apre varchi tra sbarre e recinti fino ad arrivare al cuore di ognuno.   La musica   fa dileguare  per un attimo l’ombra dell’umanità per lasciare il posto a un raggio di luce  che si fa strada tra le lacrime che furtivamente si asciugano, ma che lasciano un segno. Il concerto per l’Ombra, archetipo che si attiva nei momenti più bui della coscienza e dirompe improvvisamente, è un evento paradossale, perché la musica è espressione della massima creatività dell’essere umano frutto dell’integrazione degli opposti, mentre l’ombra è rappresentativa della più profonda scissione della coscienza dai suoi  aspetti più oscuri. Il paradosso musicale per l’ombra, però,  sintetizza quanto un luogo di detenzione si prefigge e, cioè, restituire  al detenuto una nuova individualità  consentendo una congiunzione degli opposti, affinché la consapevolezza diventi guida per la costruzione  di una coscienza di sé e delle proprie potenzialità da sviluppare al servizio della  costruttività.  La chiave musicale è una chiave universale che consente di accedere a un’esistenza autentica in un percorso individuativo,  in cui dare senso alla propria vita  al di là del Bene e del Male.

 

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta