25 Novembre = Giorno dell’Argento

Il venticinquesimo anniversario di matrimonio è chiamato d’argento, per sottolineare la preziosità del traguardo raggiunto, ma con ancora tanta strada da percorrere per raggiungere l’oro del cinquantesimo. Per associazione numerica potremmo colorare d’argento il 25 novembre, giorno dedicato alla ricorrenza internazionale per la lotta contro la violenza sulle donne, perché l’argento è il metallo che più di altri può rappresentare la difficoltà per giungere al traguardo d’oro della eliminazione della violenza.

L’argento, come si può verificare su un qualunque oggetto creato con questo metallo, reagisce all’aria e perde la sua brillantezza, fino ad arrivare lentamente all’opacità primitiva. L’argento ha bisogno di costante manutenzione, non è auto-lucidante e può essere erroneo pensare che una volta ottenuta la sua lucentezza rimarrà così per sempre. La metafora dell’argento è estendibile a tutto ciò che richiede attenzione costante e cura continua, come già ebbi modo di spiegare durante l’intervista rilasciata nel 2009 all’Agenzia di Stampa Giornalistica ADN Kronos (clicca qui per leggere l'articolo). La violenza contro le donne esiste purtroppo da secoli e negli ultimi decenni sembra essersi moltiplicata, nonostante le innumerevoli iniziative mirate alla prevenzione. Le ipotesi riguardano le radici culturali della violenza, i pregiudizi e gli stereotipi che indugiano ancora nella percezione della emancipazione del femminile e la labile memoria degli eventi cruenti ed efferati contro le donne che affollano le pagine di cronaca, ma che volano via dopo qualche giorno. Per questo motivo l’argento ci aiuta a capire quanto l’attenzione debba essere costante e la divulgazione psico-pedagogica, finalizzata alla costruzione delle coscienze, prima ancora della loro sensibilizzazione, sia fondamentale. La lucentezza della consapevolezza profonda del rispetto per l’essere umano si produce con il lavoro costante e continuo delle coscienze. La prevenzione della violenza sulle donne necessita di riflettori sempre accesi affinché si vada oltre il pregiudizio e si interiorizzi una immagine del femminile non più stereotipata e quindi legata a mansioni e ruoli che negli ultimi cento anni sono cambiati. Il processo del cambiamento è lungo, ma non bisogna desistere, perché proprio come l’argento basta poco per vanificare il lavoro compiuto e ritornare alla dimensione grezza e primitiva delle coscienze.

La costruzione delle coscienze è l’intento che il progetto itinerante “Un’Àncora per non dire più Ancóra, cambiare accento per cambiare prospettiva”, da me ideato e promosso, si prefigge insieme all’Ensemble, di arpe e voci, Sinetempore Harp Attack. Un àncora di salvezza, quindi, affinché tutte le donne possano approdare in un porto sicuro, per non dire più ancóra, tutte le volte che si ha notizia di un femminicidio. L’Ensemble Sinetempore, composto di quattro arpiste e quattro arpe celtiche, propone un repertorio di ballate antiche coniugate al presente, tratte dal canzoniere popolare internazionale, le cui tematiche vertono sulle vessazioni e le violenze che le donne hanno subito nei secoli. Lo strumento dell’arpa non è una scelta casuale, poiché le corde di cui è composta producono vibrazioni che meglio di altri strumenti entrano in risonanza con le emozioni, attivando canali di comunicazione più efficaci di tante parole. L’ascolto della musica e dei testi consente, a chi ascolta, di identificarsi con i personaggi e la storia, lasciando che le emozioni, sollecitate dalle risonanze dell’arpa, affondino nella propria coscienza producendo un effetto catartico. Il lavoro sulle emozioni consente di costruire, ma, nello stesso tempo, di scuotere le coscienze risvegliandole, da un sonno, lungo e inconsapevole, al valore della vita e al suo rispetto.

 

Sira Sebastianelli

psicoterapeuta-arpaterapeuta

Toccata e fuga

Quante volte nel linguaggio comune è usata l’espressione “toccata e fuga” per intendere una presenza veloce e fugace, quando il tempo a disposizione è limitato, ma tante sono le incombenze da portare a termine? Un desiderio di ubiquità si cela dietro il bisogno di essere ovunque, rincorrendo gli impegni presi e non procrastinabili? Difficile rispondere, ma se ci fermassimo a riflettere, facendoci guidare dalla psicologia e dalla musica forse potremmo trovare un nuovo senso, ritmo e sonorità all’esistenza.

In effetti, la toccata e la fuga sono forme musicali dove le note si inseguono quasi affannosamente, ma armoniosamente, senza mai raggiungersi. Carl Gustav Jung associava l’Arte della Fuga a un Mandala (cerchio sacro) per la sua circolarità, considerando che la “la forma musicale è espressione del carattere circolare dei processi inconsci”(Jung, C.,G., Lettere II, Roma, Edizioni Scientifiche Ma.Gi., 2006, pag.153).

Johann Sebastian Bach, nella famosissima Toccata e Fuga in Re minore, ci ha magistralmente esemplificato cos’è una toccata e una fuga, quasi preconizzando il bisogno dell’essere umano, nel terzo millennio, di ritrovare nuova armonia. Toccata e fuga, quindi, non per illudersi di possedere il dono dell’ubiquità, ma per comporre la partitura della vita che include intervalli, pause e respiro, parole chiave per accedere a nuovo senso, ritmo e sonorità. È possibile che Johann Sebastian Bach, musicista e compositore del ‘700, fosse consapevole della componente terapeutica della musica, tant’è che “[…] scrisse Le Variazioni di Goldberg per i clavicembalisti di un conte che non riusciva a dormire. Esse sono forse l’esempio più grandioso di terapia musicale.” (Rasche, J., Il canto del leone verde, Roma, Edizioni Magi, 2006, pag.50).

Il linguaggio comune potrebbe aver mutuato l’espressione toccata e fuga dalla musica o viceversa, ma la riflessione rimane la stessa se la sensazione è comunque di rincorrere qualcosa senza mai raggiungerla o magari solo appena toccarla. L’armonia in una composizione può suggerirci quanto l’ascolto della musica consenta di connettersi con la parte più profonda di sé, fermandosi un istante per ritrovare un punto da cui ripartire con nuovo ritmo:

 

“E tutto il resto eccolo qui –

È come Bach suonato sul bicchiere

per un istante.”

(Szymborska W., Progetto un Mondo, da La gioia di scrivere, Milano, Adelphi Edizioni, 2009, pag.99)

Facoltà del dubbio

“…..soltanto la dimensione del dubbio e la capacità di interrogarci indefessamente possono fornirci la speranza di approdare alla verità.”
(Carotenuto A., L’Ombra del Dubbio, Bompiani)
Il dubbio è sempre stato il motore di ricerca del pensiero! I grandi filosofi del passato avviavano le loro speculazioni, sull’esistenza dell’essere umano e su quanto percepisse, attraverso la lente del dubbio per amplificare la conoscenza. Il dubbio, nel tempo, ha perso il suo significato di ricerca, ma ha assunto quello di indecisione. Il dubbio spesso rende difficile orientarsi al punto di congelare qualsiasi scelta nella paura di sbagliare. Forse, è proprio nel timore di incorrere in un errore che si cristallizza il pensiero. La primavera, per i ragazzi e le ragazze che sostengono l’esame del quinto anno di scuola superiore, è la stagione per ipotizzare le facoltà universitarie cui iscriversi e, considerando il ventaglio delle possibilità offerte dagli Atenei, il dubbio potrebbe insinuarsi. Spesso anche le reali occasioni lavorative future interferiscono sulle scelte dettate dall’interesse e dalla passione del presente. Quando si evoca il dubbio non si può non pensare all’Amleto di Shakespeare, opera che più di altre “esprime con notevole maestria quel dubbio esistenziale fondamentale che l’uomo di ogni tempo serba nel proprio animo” (Ibidem, pag. 5).
L’indecisione è anche incertezza? La domanda stimola riflessioni, ma ciò su cui è utile porre il focus è quanto il dubbio sia sostenuto da richieste esterne a sé, che condizionano la libertà di scegliere o di modificare la scelta nel tempo. Il terzo millennio è caratterizzato dalla necessità di essere veloci, reattivi, vivere già nel futuro, essere in lotta con il tempo che scorre inesorabile, al punto di temere una pausa di riflessione pur rivendicando il diritto di fermarsi! Le nuove generazioni che non hanno conosciuto l’analogico trovano facilità a muoversi nel digitale che
favorisce le scelte rapide, ma si disorientano quando la componente emotiva chiede tempo per discernere. Il bivio include sempre il rischio di sbagliare strada, ma non sempre l’errore è vano se consente di diradare le ombre che offuscano la luce. La riflessione non è esitazione, come il dubbio non è indecisione se ci si riappropria del pensiero speculativo che come una stella polare indica la strada.
Nell’ etimo indoeuropeo d+vi (che oscilla tra due) è la radice da cui ramificano il dubbio e il doppio, sottolineando la dualità che incombe ogni qual volta si è chiamati a scegliere. L’oscillazione tra due, tra luce e ombra, può anche consumare la vita quando il dubbio sconfina nella ossessiva ricerca di certezza, non trovando conforto nel pensiero razionale, perché in questo caso prende il sopravvento il bisogno di agire un controllo sulla scelta, che non è mai valutata come quella giusta.

Lento Pede

Le alte temperature dell’estate 2022 hanno indotto gli esseri umani a modificare il loro stile di vita, per evitare di soffrire eccessivamente la canicola. Oltre a scegliere orari più freschi per svolgere attività sportiva e adottare diete con prodotti più ricchi di acqua, l’umanità, immersa nell’atmosfera bollente, ha anche ridotto il ritmo del cammino, rallentandone il passo. Scelta inevitabile e anche inconsapevole per difendersi dal caldo eccessivo e spesso insopportabile. L’espressione latina “lento pede” rende meglio l’idea di un passo che riduce la velocità e si fa costante nel ritmo, senza accelerazioni dispendiose. Il lento procedere offre anche il vantaggio di aiutare il pensiero a entrare nei meandri della mente ed esplorare spazi inediti come percorsi meditativi, inaccessibili durante corse frenetiche. Allora, perché non provare a mantenere un ritmo lento ma costante, anche quando le temperature sono più miti? Perché non trarre un piccolo insegnamento da un momento di necessità che ha frenato la corsa, a volte inutile, dell’andatura di vita? In fondo, della vita è importante il percorso e potervi procedere nella consapevolezza dell’incedere aiuterebbe a ritrovare il senso della vita stessa, tutti i giorni. Ognuno nel proprio piccolo ha un sentiero interiore, che traccia la mappa dell’esistenza, dove la freccia del tempo segna un unico senso, prezioso e ignoto, da scoprire passo dopo passo, possibilmente lento!

EXIT/USCITA

Quanto sollievo produce all’anima la segnaletica che indica l’uscita? Nei percorsi sotterranei per prendere una metropolitana o per attraversare un tunnel che corre nel cuore di una montagna, si può provare un senso di disagio che acuisce il bisogno di intravedere una piccola luce guida per uscirne velocemente. L’esperienza di tunnel e gallerie è quotidiana per molte persone che per diversi motivi le attraversano, senza neanche pensare alle profondità raggiunte, ma per molte altre, invece, ritrovarsi in una zona d’ombra della vita senza intravedere l’uscita è fonte di malessere profondo, quanto un viaggio al centro della Terra. La claustrofobia è il termine che sintetizza la dolorosa sensazione di oppressione o di soffocamento quando si ha la percezione di non avere vie di fuga. Luoghi chiusi o troppo affollati possono scatenare il sintomo claustrofobico che trova sollievo, nell’immediato, solo uscendo all’aperto. Nel periodo pandemico, specialmente durante il Claustrum che inchiodava tutti gli abitanti del Mondo nei luoghi chiusi, i claustrofobici hanno sofferto sicuramente di più, non potendo avere via libera, sentendosi come animali in gabbia! Ora che le sbarre sono state allargate ci si trova di fronte a un’altra difficoltà rappresentata dall’agorafobia, cioè paura dei luoghi aperti. La paura di sentirsi in mezzo a una grande piazza senza protezioni che ne delimitino lo spazio, al punto di obbligare chi ne soffre a non poter uscire da casa senza essere accompagnati. La fobia è il comune denominatore di questi due sintomi che possono produrre grave disagio all’ esistenza di chi ne sia portatore. La fobia è una paura parossistica che non recede di fronte a una verifica della realtà che potrebbe scongiurarne il timore, a volte è sufficiente evocare l’oggetto o la situazione fobica che si scatena il sintomo. Gli anni vissuti, con le restrizioni dettate dallo stato di emergenza, hanno reso manifesto ciò che era latente, perché fasi della vita fortemente critiche possono creare varchi che consentono al sintomo di palesarsi. Phobos, la paura dei Greci, è anche ansia, angoscia, tremori, sensazione di pesantezza agli arti inferiori, sudorazione, stordimento, palpitazioni, dispnea, manifestazioni che caratterizzano l’attacco di panico. Il panico, termine che deriva dal mitico dio Pan, spinge alla fuga, per allontanarsi dal disagio, rimanendo, paradossalmente, immobili. Il pensiero e l’azione nell’attacco di panico si paralizzano e diventa impossibile attuare una reazione utile a placare l’attacco. Claustrofobia, agorafobia, attacchi di panico possono compromettere la qualità della vita, imponendo la necessità di trovare una via d’uscita. Ogni persona ha una propria strada da percorrere per trovare l’uscita, perché i sintomi, per quanto possano essere gli stessi per tutti, contengono un significato diverso per ognuno. Quando si attraversano zone d’ombra nella vita, è importante riuscire a fare luce per trovare gli strumenti psichici che consentano di decodificare il malessere e dare senso a quel segmento di vita intriso di passato, che non riesce a trasformarsi in futuro. Il conflitto tra il passato e il futuro, tra ciò che si era e ciò che si potrebbe essere, si risolve nel presente, coniugando il tempo indicativo della via d’uscita.

25 Novembre 2021 Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Il 25 novembre è un giorno che si colora di un rosso sempre più vivo, come il sangue delle donne uccise, offese e umiliate, in numero sempre crescente. Ogni anno si concentrano riflessioni, pensieri, ricerca di significati, ma sembra che nulla riesca a porre argine alla violenza.

La violenza sulle donne purtroppo è sempre esistita e spesso anche esibita con esecuzioni pubbliche come accadde a Beatrice Cenci, giovane donna di 22 anni che uccise il padre dopo averne subito violenze, abusi e privazione della libertà. Beatrice Cenci cercava giustizia, ma non cercò attenuanti per il suo gesto, accettando il suo cruento destino. Tra la folla assiepata a Ponte Sant’Angelo, nella Roma di Papa Clemente VIII, per assistere all’esecuzione nel 1599, c’era Artemisia Gentileschi, ancora una bambina di sei anni, insieme al padre Orazio. L’artista Orazio Gentileschi, come altri artisti, sembra ci fosse anche Caravaggio, nella piazza del patibolo osservava, si presume, l’emozione nei tratti dei volti dei condannati per riprodurli su tela, un tentativo estremo di restituire vita a chi la perdeva. La sincronicità singolare sta nell’incrocio dei destini di Beatrice e Artemisia, quest’ultima ancora ignara del futuro incontro con un uomo violento, ma preconizzante del desiderio di giustizia che avrebbe riprodotto su tela con la morte di Oloferne per mano di Giuditta. Per Artemisia bambina, assistere a una esecuzione cruenta di una giovane donna, avrà sicuramente lasciato una traccia nella memoria delle emozioni, insieme a tante domande cui dare risposta attraverso la minuziosa ricerca di particolari espressivi dei volti, per dipingere i tratti della vittima e del carnefice. Vittima e carnefice, legati da un ineluttabile destino di sofferenza, subita e inflitta, il cui confine non deve mai essere confuso.

Beatrice e Artemisia, due donne contemporanee che hanno ucciso il loro carnefice, la prima realmente, la seconda artisticamente, nella ricerca di una catarsi dalla mortificazione, dall’ insostenibile peso dell’impotenza e dalla ricerca di una via di uscita, a costo della propria morte. La violenza, in qualunque sua forma, lascia un’impronta indelebile nel corpo e nell’anima di chi la subisce, con la quale non è semplice coabitare. I lettori e le lettrici del mio sito www.sirasebastianelli.it conoscono il progetto

itinerante, da me ideato e promosso, “Un’Àncora per non dire più Ancóra, cambiare accento per cambiare prospettiva”, che vede impegnate cinque arpe e cinque arpiste dell’Ensemble Sinetempore Harp Attack, per sensibilizzare le coscienze, attraverso la musica e la narrazione di antiche ballate popolari. Come scrive in “Oltre la terapia psicologica” lo psicoanalista Aldo Carotenuto: “La narrazione è una rappresentazione trasfigurata del pathos, per questo rende possibile un’esperienza catartica” e, di conseguenza, un processo di identificazione necessario per percepire e vivere le emozioni. Il lavoro sulle emozioni consente di costruire, ma, nello stesso tempo, di scuotere le coscienze risvegliandole, da un sonno lungo e inconsapevole, al valore della vita e al suo rispetto.

Perché qualcosa cambi si può iniziare da sé e credere, come il filosofo Alain Badiou, “in una ripartenza individuale, in compagnia dell’umanità intera”, solo in questo modo si può ridare senso e forza a una giornata come il 25 novembre.

Lighthouse

Il Faro, casa luce, che con il suo fascio luminoso squarcia le tenebre marine, indicando la rotta per approdare in un porto sicuro. Il Faro, luogo magico da dove scrutare l’infinito, spesso collocato su una piccola isola tra flutti marini che ne sovrastano gli scogli. In passato la luce era quella del fuoco vivo che il guardiano manteneva acceso come il fuoco sacro del tempio vegliato dalle Vestali, affinché non si spegnesse mai. Il Faro, come casa luce di fuoco, rappresenta la vita in un posto sicuro, quando il mare è in tempesta. Una guida, una corsia salvifica da percorrere per ritrovare il calore e l’accoglienza che gli esseri umani cercano in fasi difficili della propria esistenza. Non è un caso che il fuoco salvifico che indica la strada si trovi su un’isola dove riecheggia la dimensione della solitudine, luogo dell’anima nel quale è utile tornare nei momenti in cui si ha bisogno di guardare l’orizzonte senza interferenze. Come già ebbi modo di scrivere, isola è l’anagramma di asilo, (ASILO&ISOLA anagramma dell’anima), quasi a rinforzare il significato di ospitalità e protezione. L’autunno è la stagione che stimola la ricerca del rinnovamento creativo per progetti che diano slancio all’esistenza. Ecco che il Faro diventa un riferimento importante e rassicurante da cercare dentro di sé, affinché si proceda nel cammino di vita con il fuoco della casa luce interiore.

Nuovo Mondo

Dal Nuovo Mondo, una sinfonia molto bella ed evocativa del compositore Antonín Leopold Dvořák, scritta nell’ultimo decennio dell’ottocento, quando i popoli iniziavano le migrazioni e i viaggi alla scoperta dell’America, oggi adatta ad accompagnare la fase storica che il Mondo si appresta a vivere. Ho, infatti, la sensazione che l’Umanità stia per approdare, come allora, in un nuovo mondo, da scoprire e da conoscere. Il Nuovo Mondo non è un Mondo Nuovo, perché ciò che ci si appresta a vivere non sarà più come prima, anche se l’involucro rimane lo stesso. Inconsapevolmente la pandemia ha trasformato lo sguardo con cui si osserva la vita e quanto giri intorno ad essa. L’idea del pre-pandemia che tutto fosse scontato e prevedibile è stata sostituita dal dubbio e dall’incertezza, tutto ciò che si riteneva impossibile ora è possibile, l’inimmaginabile è immaginabile. La lunga convivenza con il Covid19 ha sovvertito l’ordine costituito imponendone un altro, sia mentale sia reale. Nell’opera di Dvořák si percepisce l’entusiasmo della scoperta dell’ignoto mondo, che invece oggi è sostituito dalla esuberanza euforica. Un nuovo mondo, quindi, esplorato senza entusiasmo, ma con il desiderio di libertà che si sovrappone al desiderio di liberazione, ancora non esaudibile per come si vorrebbe. L’esuberanza ha reso i popoli insofferenti ai confini, alle restrizioni e ai limiti, al punto di superarli a ogni costo, mentre l’euforia ha ridimensionato il rischio delle conseguenze che ne potrebbero derivare. Tanti mesi di sofferenza lasciano tracce profonde e molto tempo sarà necessario per elaborare quanto vissuto, affinché l’esperienza rientri nel bagaglio della memoria, utile a produrre coscienza degli accadimenti e osservarli cambiando punto di vista. La pandemia ha fatto vivere l’Umanità in un mare in tempesta, senza avere la possibilità di vedere in profondità, ma solo cercare di restare a galla. Solo quando la tempesta si placherà si potrà osservare ciò che si sarà depositato e discernere psicologicamente quanto accaduto. A questo punto le domande cui cercare risposte potrebbero essere: Come ricostruire le coscienze, come liberarci dal condizionamento della paura?

Le tracce profonde impresse nell’anima, cui accennavo, possono diventare orme da seguire per capire il significato della sofferenza, che per ognuno di noi potrebbe essere diverso o comunque unico nel suo manifestarsi. Il percorso di uscita dalla pandemia dovrebbe essere accompagnato dall’emozione di abitare un Nuovo Mondo da vivere e da costruire, per lasciare che l’esuberanza e l’euforia lascino il posto all’entusiasmo.

L’entusiasmo porta in sé il significato dell’affidarsi a ciò che trascende l’umano per entrare in una dimensione nuova e inesplorata, per seguir virtute e canoscenza, senza paura e con tanto coraggio.

8 MARZO 2021 – “L’attesa è infinita, ma io sono in cammino”*

Sembra siano esaurite le parole per riflettere sulla Giornata dedicata alle Donne. Tanto è stato scritto, divulgato, proposto, evidenziato, sottolineato, al punto di pensare che non sia più necessario aggiungere altro. Invece no, quando ci si guarda intorno, si notano ancora soprusi, vessazioni, discriminazioni, mortificazioni, tanto da far vacillare la fiducia nella possibilità che qualcosa possa cambiare per la condizione femminile nel Mondo. Ancora si parla di carriere negate o ostacolate, di riconoscimenti economici sbilanciati tra uomini e donne, di discriminazione perché, ancora, non è naturale inserire una donna per la sua competenza in un ruolo di potere. Nel 1997 pubblicai un libro “La memoria degli altri”, dedicando un capitolo alla Donna negli stereotipi della memoria che, a rileggerlo oggi, fa capire quanto poco sia cambiato. La strada percorsa dalle donne potrebbe essere rappresentata dal gioco dell’oca, con ostacoli che rallentano il raggiungimento del traguardo obbligando, spesso, anche a fermarsi un giro! Possibile che non si riesca a declinare naturalmente anche al femminile la vita dell’Umanità? Possibile che la strada sia sempre impervia?

Sul mio sito, nella sezione Third Life, nel 2013 pubblicai l’articolo 8 Marzo, nel 2015 8’ava nota e nel 2020 8 Marzo Una Giornata da Vivere, per riflettere sulla strada percorsa e su quella da percorrere, ma, come scrivevo all’inizio di questo articolo, la sensazione è che le parole per esprimere quanto ancora non accade siano esaurite. In realtà, sarebbe utile iniziare sempre di più a soffermarci su quanto accade, sulle conquiste, sui soffitti di cristallo sfondati, pochi ma importanti, sulla resistenza delle donne e sulla loro resilienza, garanzia di crescita costante, continua, nonostante le prove infinite da superare. Le fiabe sono piene di storie, dove è il maschile, il principe, a dover superare tante peripezie per conquistare il femminile, la principessa, per vivere felici e contenti, ma nella realtà, oggi, sono le donne a dover attraversare strade complesse, per arrivare alla conquista di se stesse. Mi chiedo, cosa scriverebbe oggi Ipazia, riflettendo sul suo sacrificio di donna amante della scienza e della conoscenza, cosa dipingerebbe Artemisia Gentileschi per rappresentare il difficile attecchimento e radicamento delle conquiste delle donne, come l’autonomia e l’autodeterminazione. Ipazia e Artemisia, erano donne sole, che hanno lasciato traccia di sé, come eredità per la moltitudine di donne di oggi, non più sole come ieri, affinché siano consapevoli della strada percorsa e di quella ancora da percorrere, dove la conquista di una è la conquista di tutte.

*A.Petta, A.Colavito, Ipazia, La Lepre Editore,Roma,2009,pag.329

Gemellaggio con Psiche

Carl Gustav Jung, psicoanalista svizzero, introdusse il concetto di sincronicità per evidenziare eventi significativi che si palesavano in un tempo soggettivo e oggettivo non casuale. Da qualche tempo rivolgo l’attenzione a chi si trova all’estero per lavoro o per studio, ma che, per la situazione pandemica in cui l’Umanità si ritrova, non può viaggiare per tornare, come vorrebbe, nei luoghi di origine. Come esemplificazione di quanto Jung chiamasse sincronicità, è accaduto che dalla Svizzera, da Coira, città del Canton Grigioni, mi arrivasse una fotografia, di cui questo articolo è corredato, che rappresenta un segnale stradale dove sono indicate diverse città europee tra cui una italiana, con la relativa distanza chilometrica. Il fatto non desterebbe stupore se la città italiana non fosse Terracina, mio paese di origine, dove sono nata e dove ancora risiedo quando posso districarmi dagli impegni romani. Ho considerato l’invio della foto un evento sincronico, poiché fa ipotizzare che i tempi siano maturi affinché al gemellaggio tra città europee, di carattere socio-culturale, possa unirsi un gemellaggio di carattere psicologico. Come già anticipato nell’articolo Psicologia senza frontiere, il lavoro digitale, che in questi mesi si è sempre più strutturato, consente di raggiungere qualunque paese del Mondo e consentire, a chi lo ritenga necessario, l’accesso a una consulenza psicologica sentendosi “a casa”, sia per comprensione linguistica e culturale, sia geografica. Negli anni sessanta, quando Terracina si aprì al primo gemellaggio con la città di Bad Homburg, la mia famiglia ospitò una ragazza tedesca che rappresentò una esperienza molto interessante, consentendo di conoscere e di relazionarsi con l’oltre frontiera in modo stimolante, in tempi in cui non era così naturale il viaggio per scambio culturale. Un’esperienza che, evidentemente, ha lasciato traccia al punto di aver mantenuto interesse per tutte le persone che con coraggio e desiderio di cambiamento si avviano verso la strada della conoscenza, come esploratori di nuovi mondi. Oltre frontiera, in senso geografico e psicologico, consente metaforicamente di superare ostacoli che impediscono la realizzazione di sé e avviarsi verso la ricerca della propria autenticità. Un gemellaggio virtuale con Psiche, per riconnettersi con la propria radice geografica,

emotiva e affettiva per sostenere la progettualità individuale in fasi storiche complesse come quella che stiamo vivendo.

Per chi volesse contattarmi il primo colloquio è gratuito, grazie sirasebastian@tiscali.it