Convalescenza del dolore

Anni fa vidi un documentario, di cui non ricordo l’autore, girato negli anni sessanta tra gli abitanti di piccoli paesi italiani. Alle persone intervistate si ponevano domande semplici, ma che stimolavano risposte psicologicamente complesse. Ricordo, per esempio, una signora che, per spiegare come vivesse e perché vestisse di nero, semplificò con due parole, molto significative, il tempo del lavoro del lutto, dicendo: “Sono nella convalescenza del dolore”. Mi è sembrata subito una sintesi perfetta per descrivere il periodo successivo alla perdita di una persona cara. La convalescenza è ormai una parola desueta, non si usa più neanche per indicare i giorni di graduale ripresa successivi a una influenza, considerando la necessità di rientrare subito a lavoro e alle incombenze familiari o domestiche. In realtà, convalescenza è un termine che racchiude il mondo della rigenerazione, della elaborazione e del recupero di energia rispettando i tempi individuali. Nel terzo millennio la convalescenza del dolore è sicuramente vissuta con modalità diverse rispetto al passato, forse non è neanche più contemplata nell’obbligato rapido percorso di ripresa della vita quotidiana. Vorrei, quindi, avviare una riflessione sui tempi di elaborazione delle separazioni, perdite e lutti che si concedono alla psiche, considerando anche l’avvicinarsi della giornata dedicata alla commemorazione dei defunti. L’elaborazione del lutto o “lavoro del lutto”, come direbbe Sigmund Freud, è un processo psichico che richiede un tempo cronologico oltre che psicologico, affinché si possa superare la sofferenza per la perdita di una persona cara, estendibile ad altre perdite come per un lavoro, una casa, un rapporto significativo o una condizione di vita favorevole. “Il tempo non lenisce, ma trasforma. Trasforma e rielabora fino a rendere comunicabile ciò che prima potevamo cogliere solo attraverso la partecipazione emotiva. Il sentimento non è cambiato, solo che adesso riusciamo a trovare ‘le parole per dirlo’ e questo sembra darci un po’ di consolazione” (Carotenuto,A. L’eclissi dello sguardo, Milano, Bompiani,1997,pag.169). Il silenzio accompagna l’esperienza del lutto, quando si ha bisogno di placare, come recita una poesia di Emily Dickinson, il trambusto che segue la morte. Luctus è il termine latino derivante dalla radice

indoeuropea ru-j che ha il significato di piangere, sentire dolore, ma anche rompere, tagliare e con l’ampliamento della radice ru-d rumore. Radice etimologica del lutto che racchiude le fasi dell’elaborazione, diniego, accettazione, distacco, che indicano la strada per attraversare il dolore e la sofferenza. Quando, però, il diniego sconfina nell’accettazione rendendo difficile il distacco, si può bloccare l’elaborazione del lutto con il rischio di cristallizzare il dolore. Il rispetto dei tempi soggettivi è fondamentale come anche l’adeguamento al nuovo ritmo della vita in una fase luttuosa che richiede rigenerazione e recupero di energia psico-fisica, sintetizzabile con l’opportuna convalescenza del dolore.

2 comments

  1. Però come tutto diventa semplice anche quello che in effetti è complicatissimo quando lo si espone bene e in maniera lineare ….complimenti

  2. Complimenti davvero.!
    Anche per la capacità che hai di accompagnarci a leggere la vita.
    Francesca

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