8 Marzo 2022

Quale significato ha oggi l’otto marzo? Ormai da decenni si celebra questo giorno per riflettere, per ricordare, per ipotizzare nuove strade che le donne possano percorrere, per trovare rispetto, considerazione, parità, dignità, riconoscimento di meriti, assenza di discriminazione. L’Umanità è reduce da una pandemia devastante i cui effetti si sentiranno ancora nel tempo, ma nel contempo è immersa in una guerra incomprensibile che non consente di oltrepassare la soglia della paura verso la salvezza. Il mondo femminile, molto provato dalla pandemia, dopo essere stato in prima linea per difendere il proprio lavoro spesso perso e non ritrovato, ma soprattutto la propria vita, considerando le esplosioni dei conflitti familiari a volte con esiti mortali, continua a vivere nella sofferenza. Oggi, però, vorrei ricordare l’otto marzo come un giorno dedicato alla vita, alla rigenerazione, alla consapevolezza di sé, al femminile nel suo significato più ampio dove albergano le emozioni, la sensibilità, la creatività, la cura, l’accudimento di sé e degli altri, la fertilità, l’empatia, la resilienza, oltre a tutto ciò che aiuta a costruire. L’Anima, come Carl Gustav Jung definiva l’immagine psichica del femminile, è l’archetipo della vita, l’origine del mondo, da tutelare e da preservare. Se il femminile trovasse spazio nelle sue peculiarità all’interno delle coscienze degli uomini e delle donne, riconoscendone le potenzialità contenute, sarebbe più semplice avviare l’Umanità verso un destino comune di salvezza e non di distruzione, al quale sembra essere incamminata. Contro l’inverno dello spirito Marguerite Yourcenar auspicava la costruzione di granai, dove mettere a dimora i semi del sapere e della conoscenza, per scongiurare la denutrizione dell’Anima, quando si sentono arrivare i momenti bui dell’Umanità.

L’Otto Marzo come celebrazione del femminile, per depotenziare la forza distruttiva dell’Archetipo dell’Ombra e attivare risorse per uscire alla luce in un risveglio di pace, penso sia una utile lettura del giorno più evocativo dell’anno.

EXIT/USCITA

Quanto sollievo produce all’anima la segnaletica che indica l’uscita? Nei percorsi sotterranei per prendere una metropolitana o per attraversare un tunnel che corre nel cuore di una montagna, si può provare un senso di disagio che acuisce il bisogno di intravedere una piccola luce guida per uscirne velocemente. L’esperienza di tunnel e gallerie è quotidiana per molte persone che per diversi motivi le attraversano, senza neanche pensare alle profondità raggiunte, ma per molte altre, invece, ritrovarsi in una zona d’ombra della vita senza intravedere l’uscita è fonte di malessere profondo, quanto un viaggio al centro della Terra. La claustrofobia è il termine che sintetizza la dolorosa sensazione di oppressione o di soffocamento quando si ha la percezione di non avere vie di fuga. Luoghi chiusi o troppo affollati possono scatenare il sintomo claustrofobico che trova sollievo, nell’immediato, solo uscendo all’aperto. Nel periodo pandemico, specialmente durante il Claustrum che inchiodava tutti gli abitanti del Mondo nei luoghi chiusi, i claustrofobici hanno sofferto sicuramente di più, non potendo avere via libera, sentendosi come animali in gabbia! Ora che le sbarre sono state allargate ci si trova di fronte a un’altra difficoltà rappresentata dall’agorafobia, cioè paura dei luoghi aperti. La paura di sentirsi in mezzo a una grande piazza senza protezioni che ne delimitino lo spazio, al punto di obbligare chi ne soffre a non poter uscire da casa senza essere accompagnati. La fobia è il comune denominatore di questi due sintomi che possono produrre grave disagio all’ esistenza di chi ne sia portatore. La fobia è una paura parossistica che non recede di fronte a una verifica della realtà che potrebbe scongiurarne il timore, a volte è sufficiente evocare l’oggetto o la situazione fobica che si scatena il sintomo. Gli anni vissuti, con le restrizioni dettate dallo stato di emergenza, hanno reso manifesto ciò che era latente, perché fasi della vita fortemente critiche possono creare varchi che consentono al sintomo di palesarsi. Phobos, la paura dei Greci, è anche ansia, angoscia, tremori, sensazione di pesantezza agli arti inferiori, sudorazione, stordimento, palpitazioni, dispnea, manifestazioni che caratterizzano l’attacco di panico. Il panico, termine che deriva dal mitico dio Pan, spinge alla fuga, per allontanarsi dal disagio, rimanendo, paradossalmente, immobili. Il pensiero e l’azione nell’attacco di panico si paralizzano e diventa impossibile attuare una reazione utile a placare l’attacco. Claustrofobia, agorafobia, attacchi di panico possono compromettere la qualità della vita, imponendo la necessità di trovare una via d’uscita. Ogni persona ha una propria strada da percorrere per trovare l’uscita, perché i sintomi, per quanto possano essere gli stessi per tutti, contengono un significato diverso per ognuno. Quando si attraversano zone d’ombra nella vita, è importante riuscire a fare luce per trovare gli strumenti psichici che consentano di decodificare il malessere e dare senso a quel segmento di vita intriso di passato, che non riesce a trasformarsi in futuro. Il conflitto tra il passato e il futuro, tra ciò che si era e ciò che si potrebbe essere, si risolve nel presente, coniugando il tempo indicativo della via d’uscita.

Intermittenze

Periodo natalizio decorato e illuminato nelle strade e nelle case. Luci che si rincorrono disegnando forme augurali con intermittenze, che alternano istanti impercettibili di buio con raggi luminosi. Intermittenze del Natale che sembrano essere in sintonia con quanto accade in questi giorni, in cui luci e ombre sovrastano l’Umanità. L’intermittenza è rapida, non lascia spazio al pensiero che vorrebbe trattenere la luce per osservarla o il buio per immaginarlo. L’intermittenza è una luce veloce, che corre in avanti e indietro senza lasciare tempo al respiro per seguirne la corsa. Chi non si sente intermittente in questa fase storica della vita? Sicuramente molte persone si accendono e si spengono rapidamente senza capirne il senso, ma solo vivendone il disagio. È anche faticoso accendersi e spegnersi tra entusiasmi e delusioni o tra slanci di desiderio e inibizioni. Una fase dell’esistenza che fluttua tra luce e buio in un ossimorico continuum intermittente. È importante cogliere i momenti di luce per illuminare la propria esistenza, nella consapevolezza che la ricerca di sé necessita di quel raggio che sconfigge le tenebre, anche solo per un istante. Il nuovo anno sta bussando alla porta di ognuno per risvegliare la coscienza a intraprendere un nuovo cammino per ritrovare fiducia, forza vitale e progettualità, affinché l’intermittenza della luce si trasformi in permanenza costante e continua, per illuminare la strada da percorrere, prendendo per mano il coraggio e oltrepassare la soglia del futuro senza paura.

25 Novembre 2021 Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Il 25 novembre è un giorno che si colora di un rosso sempre più vivo, come il sangue delle donne uccise, offese e umiliate, in numero sempre crescente. Ogni anno si concentrano riflessioni, pensieri, ricerca di significati, ma sembra che nulla riesca a porre argine alla violenza.

La violenza sulle donne purtroppo è sempre esistita e spesso anche esibita con esecuzioni pubbliche come accadde a Beatrice Cenci, giovane donna di 22 anni che uccise il padre dopo averne subito violenze, abusi e privazione della libertà. Beatrice Cenci cercava giustizia, ma non cercò attenuanti per il suo gesto, accettando il suo cruento destino. Tra la folla assiepata a Ponte Sant’Angelo, nella Roma di Papa Clemente VIII, per assistere all’esecuzione nel 1599, c’era Artemisia Gentileschi, ancora una bambina di sei anni, insieme al padre Orazio. L’artista Orazio Gentileschi, come altri artisti, sembra ci fosse anche Caravaggio, nella piazza del patibolo osservava, si presume, l’emozione nei tratti dei volti dei condannati per riprodurli su tela, un tentativo estremo di restituire vita a chi la perdeva. La sincronicità singolare sta nell’incrocio dei destini di Beatrice e Artemisia, quest’ultima ancora ignara del futuro incontro con un uomo violento, ma preconizzante del desiderio di giustizia che avrebbe riprodotto su tela con la morte di Oloferne per mano di Giuditta. Per Artemisia bambina, assistere a una esecuzione cruenta di una giovane donna, avrà sicuramente lasciato una traccia nella memoria delle emozioni, insieme a tante domande cui dare risposta attraverso la minuziosa ricerca di particolari espressivi dei volti, per dipingere i tratti della vittima e del carnefice. Vittima e carnefice, legati da un ineluttabile destino di sofferenza, subita e inflitta, il cui confine non deve mai essere confuso.

Beatrice e Artemisia, due donne contemporanee che hanno ucciso il loro carnefice, la prima realmente, la seconda artisticamente, nella ricerca di una catarsi dalla mortificazione, dall’ insostenibile peso dell’impotenza e dalla ricerca di una via di uscita, a costo della propria morte. La violenza, in qualunque sua forma, lascia un’impronta indelebile nel corpo e nell’anima di chi la subisce, con la quale non è semplice coabitare. I lettori e le lettrici del mio sito www.sirasebastianelli.it conoscono il progetto

itinerante, da me ideato e promosso, “Un’Àncora per non dire più Ancóra, cambiare accento per cambiare prospettiva”, che vede impegnate cinque arpe e cinque arpiste dell’Ensemble Sinetempore Harp Attack, per sensibilizzare le coscienze, attraverso la musica e la narrazione di antiche ballate popolari. Come scrive in “Oltre la terapia psicologica” lo psicoanalista Aldo Carotenuto: “La narrazione è una rappresentazione trasfigurata del pathos, per questo rende possibile un’esperienza catartica” e, di conseguenza, un processo di identificazione necessario per percepire e vivere le emozioni. Il lavoro sulle emozioni consente di costruire, ma, nello stesso tempo, di scuotere le coscienze risvegliandole, da un sonno lungo e inconsapevole, al valore della vita e al suo rispetto.

Perché qualcosa cambi si può iniziare da sé e credere, come il filosofo Alain Badiou, “in una ripartenza individuale, in compagnia dell’umanità intera”, solo in questo modo si può ridare senso e forza a una giornata come il 25 novembre.

Novembre

Novembre è il mese della memoria. È il mese in cui ricorre il giorno dedicato ai defunti, coloro che non abitano più fisicamente tra gli affetti dei loro cari, ma abitano tra i ricordi e le tracce della memoria di tutti. “Assenza più acuta presenza” recita una poesia di Attilio Bertolucci, sintesi, che solo nella poesia è possibile, del senso della mancanza. L’elaborazione del lutto pervade la vita degli esseri umani, perché il ciclo della vita prevede una nascita e una morte, coinvolgendo l’Umanità nella necessità di confrontarsi costantemente con la felicità di accogliere e il dolore di lasciar andare. Non è facile entrare in una dimensione così complessa e fonte di sofferenza quale la irreversibile separazione da una persona cara, le cui componenti sono il tempo, i ricordi, la memoria e l’emozione. Esiste la possibilità di oggettivare tali componenti? Certamente no, la soggettività rende unica la perdita e il prenderne coscienza. Il tempo cronologico non corrisponde al tempo interiore, quindi è necessario che ci sia il rispetto della soggettività del dolore, senza cercare scorciatoie o anestetici. L’emozione che si lega ai ricordi richiede anch’essa di un tempo che ne possa alleviare l’intensità, per consentire di lasciare cadere lo sguardo nei luoghi della memoria senza esserne sopraffatti. Novembre è anche è il mese delle foglie che cadano dai rami degli alberi, per iniziare il loro un nuovo viaggio affidandosi al soffio del vento.

Lighthouse

Il Faro, casa luce, che con il suo fascio luminoso squarcia le tenebre marine, indicando la rotta per approdare in un porto sicuro. Il Faro, luogo magico da dove scrutare l’infinito, spesso collocato su una piccola isola tra flutti marini che ne sovrastano gli scogli. In passato la luce era quella del fuoco vivo che il guardiano manteneva acceso come il fuoco sacro del tempio vegliato dalle Vestali, affinché non si spegnesse mai. Il Faro, come casa luce di fuoco, rappresenta la vita in un posto sicuro, quando il mare è in tempesta. Una guida, una corsia salvifica da percorrere per ritrovare il calore e l’accoglienza che gli esseri umani cercano in fasi difficili della propria esistenza. Non è un caso che il fuoco salvifico che indica la strada si trovi su un’isola dove riecheggia la dimensione della solitudine, luogo dell’anima nel quale è utile tornare nei momenti in cui si ha bisogno di guardare l’orizzonte senza interferenze. Come già ebbi modo di scrivere, isola è l’anagramma di asilo, (ASILO&ISOLA anagramma dell’anima), quasi a rinforzare il significato di ospitalità e protezione. L’autunno è la stagione che stimola la ricerca del rinnovamento creativo per progetti che diano slancio all’esistenza. Ecco che il Faro diventa un riferimento importante e rassicurante da cercare dentro di sé, affinché si proceda nel cammino di vita con il fuoco della casa luce interiore.

Sincronicità a Vezzolano

Il 7 agosto 2021 l’Ensemble Sinetempore Harp Attack ha avuto un doppio appuntamento nella splendida Abbazia Santa Maria di Vezzolano ad Albugnano (Asti) per presentare il PROGETTO ITINERANTE sulla violenza contro le donne:

“UN’ ÀNCORA PER NON DIRE PIÙ ANCÓRA,

CAMBIARE ACCENTO PER CAMBIARE PROSPETTIVA”

L’Abbazia di Vezzolano è molto antica e al suo interno si respira un’atmosfera magica, evocativa di antiche memorie. La sorpresa che ha toccato corde profonde, è stata la rappresentazione scultorea, in un capitello dell’abside, del presumibile personaggio biblico David con la sua arpa! È un capitello che ha subito il passaggio del tempo, ma la postura del suonatore d’arpa, dove è evidente la mano tra le corde, è stupefacente. La conferma che possa trattarsi realmente di David è data da un altro capitello simmetrico al primo che raffigura Salomone figlio di David, ben conservato con scritta sulla corona del nome. Ma dov’è la sincronicità? David, nel racconto biblico del primo Libro di Samuele (capitolo n.16), usava la sua cetra, ma la rappresentazione del capitello rivela una vera e propria arpa, per lenire l’esuberanza caratteriale di Saul rivelatrice di una sofferenza dell’anima. Il primo “arpaterapeuta” della storia conosciuta, usava le corde dell’arpa intuendone già le potenzialità terapeutiche. La sincronicità di cui ci parla lo psicoanalista Carl Gustav Jung induce a pensare che la scelta dell’Abbazia di Vezzolano non sia stata casuale per un’ Ensemble di cinque arpiste che hanno frequentato un master in arpaterapia. Un nesso acasuale che ha congiunto due eventi, per un incontro simbolicamente significativo. Come scrive Carl Gustav Jung: “Col termine di sincronicità intendo la coincidenza di dati di fatto soggettivi e oggettivi che non può essere spiegata, almeno con i nostri mezzi attuali, in termini causali”(Opere Vol.Ottavo, pag.222, Boringhieri).

Per il nostro sesto concerto è giunto un regalo dall’inconscio collettivo, come viatico per continuare la strada della divulgazione e della sensibilizzazione delle coscienze. Come Saul brandiva la sua lancia, David suonava la sua arpa, affinché si placasse l’ ira funesta del re. L’intento dell’Ensemble Sinetempore sta proprio nel lenire dolori dell’anima di chi subisce la violenza e di chi agisce la violenza, attraverso la narrazione di storie che inducendo una identificazione con i personaggi, possa parallelamente consentire un effetto catartico.

8 MARZO 2021 – “L’attesa è infinita, ma io sono in cammino”*

Sembra siano esaurite le parole per riflettere sulla Giornata dedicata alle Donne. Tanto è stato scritto, divulgato, proposto, evidenziato, sottolineato, al punto di pensare che non sia più necessario aggiungere altro. Invece no, quando ci si guarda intorno, si notano ancora soprusi, vessazioni, discriminazioni, mortificazioni, tanto da far vacillare la fiducia nella possibilità che qualcosa possa cambiare per la condizione femminile nel Mondo. Ancora si parla di carriere negate o ostacolate, di riconoscimenti economici sbilanciati tra uomini e donne, di discriminazione perché, ancora, non è naturale inserire una donna per la sua competenza in un ruolo di potere. Nel 1997 pubblicai un libro “La memoria degli altri”, dedicando un capitolo alla Donna negli stereotipi della memoria che, a rileggerlo oggi, fa capire quanto poco sia cambiato. La strada percorsa dalle donne potrebbe essere rappresentata dal gioco dell’oca, con ostacoli che rallentano il raggiungimento del traguardo obbligando, spesso, anche a fermarsi un giro! Possibile che non si riesca a declinare naturalmente anche al femminile la vita dell’Umanità? Possibile che la strada sia sempre impervia?

Sul mio sito, nella sezione Third Life, nel 2013 pubblicai l’articolo 8 Marzo, nel 2015 8’ava nota e nel 2020 8 Marzo Una Giornata da Vivere, per riflettere sulla strada percorsa e su quella da percorrere, ma, come scrivevo all’inizio di questo articolo, la sensazione è che le parole per esprimere quanto ancora non accade siano esaurite. In realtà, sarebbe utile iniziare sempre di più a soffermarci su quanto accade, sulle conquiste, sui soffitti di cristallo sfondati, pochi ma importanti, sulla resistenza delle donne e sulla loro resilienza, garanzia di crescita costante, continua, nonostante le prove infinite da superare. Le fiabe sono piene di storie, dove è il maschile, il principe, a dover superare tante peripezie per conquistare il femminile, la principessa, per vivere felici e contenti, ma nella realtà, oggi, sono le donne a dover attraversare strade complesse, per arrivare alla conquista di se stesse. Mi chiedo, cosa scriverebbe oggi Ipazia, riflettendo sul suo sacrificio di donna amante della scienza e della conoscenza, cosa dipingerebbe Artemisia Gentileschi per rappresentare il difficile attecchimento e radicamento delle conquiste delle donne, come l’autonomia e l’autodeterminazione. Ipazia e Artemisia, erano donne sole, che hanno lasciato traccia di sé, come eredità per la moltitudine di donne di oggi, non più sole come ieri, affinché siano consapevoli della strada percorsa e di quella ancora da percorrere, dove la conquista di una è la conquista di tutte.

*A.Petta, A.Colavito, Ipazia, La Lepre Editore,Roma,2009,pag.329

202……….1

Tra qualche giorno il 2020 chiude il sipario e si ritira, lasciando all’Umanità un carico di esperienze inimmaginabili, da elaborare e da metabolizzare per i prossimi anni. Il 2021 farà il suo ingresso ereditando lasciti complessi, sia da un punto di vista psicologico che fisico, ma, come ogni cosa che nasce, avrà la forza vitale in grado di supportare il carico inevaso ricevuto nel passaggio del confine cronologico. Ogni essere umano ha desiderato e immaginato, in questi mesi, di volare per andare oltre il tempo e la memoria, per proiettare l’esistenza in zona di sicurezza. Ora più che mai, però, è importante rimanere ancorati alle radici della Madre Terra per essere nutriti di certezze, per essere protetti con nuove consapevolezze, per essere contenuti come teneri germogli. L’archetipo della Grande Madre, quindi, sarà risvegliato dalla necessità di trovare strade per concepire nuova vita e giungere al riscatto di quanto è stato sottratto dalla pandemia.

Il neonato 2021 muoverà i suoi primi passi su terreni desertificati, bisognosi di essere risanati, riattivati e rigenerati con robuste semine. L’anno che verrà rappresenta l’inizio e ricomincia da Uno: l’essenza, la matrice dell’esistenza, la forza ritrovata per andare oltre.

Gestualità al tempo delle mascherine

Oggi, vorrei porre l’attenzione su un comportamento particolare, che negli ultimi tempi mi è capitato di osservare, da quando indossiamo le mascherine anti contagio, nelle relazioni con altre persone. Il popolo italiano è conosciuto nel mondo per la sua gestualità molto espressiva e significativa che accompagna il linguaggio verbale oltre a quello non verbale, tant’è che spesso ne è benevolmente stigmatizzato all’estero. La mia attenzione, però, riguarda in modo particolare la gestualità delle mani, quando si parla indossando la mascherina, che sembra essersi accentuata, quasi per colmare la difficoltà, forse più psicologica che reale, di esprimere al meglio il contenuto della propria comunicazione. Tutti sappiamo che attraverso un gesto possiamo esprimere tenerezza, aggressività o disappunto, ma nella necessità di essere distanziati e mascherati è presumibile che si stia attivando un nuovo linguaggio gestuale parallelo di sostegno a quello verbale.

Con i miei lettori e lettrici condivido la mia percezione e vorrei chiedere se nella loro esperienza ne hanno avuto riscontro. Forse, siamo testimoni di un cambiamento nella comunicazione che potrebbe far acquisire un nuovo vocabolario non verbale, in virtù di un’inibizione visiva di una parte viso, che attiva canali di comunicazione che usano il corpo, più di quanto già non avvenga.

Qual è la vostra esperienza?

Per qualunque vostra condivisione il mio spazio è a disposizione. Grazie