Il paradosso della gioventù

È da diverso tempo che avverto un corto circuito quando leggo notizie di cronaca che, da una parte, esaltano l’impegno profuso dai ragazzi e dalle ragazze per salvare il Pianeta Terra e, dall’altra, stigmatizzano comportamenti pericolosi dei giovani alla guida di automobili incapaci di salvare e stessi.

Il paradosso, che mi sembra evidenziarsi, ritengo stia nel constatare che ci siano ragazzi e ragazze attivi nel tutelare il loro futuro, delineando lucidamente i comportamenti inadeguati degli adulti, ma ci siano anche ragazzi e ragazze insensibili nel valutare le conseguenze della loro guida spericolata, che ogni settimana conta decine di morti sulle strade, al punto di rischiare l’elisione dalla loro vita non solo del futuro, ma anche del presente. La previsione della ricaduta nefasta di una condotta errata dovrebbe potersi estendere dall’eccesso di inquinamento all’eccesso di velocità, ma è un parallelismo inefficace.

Un’ipotesi potrebbe essere formulata considerando che i giovani, quando sono alla guida di un’automobile, sopravvalutino se stessi nella destrezza al volante sentendosi fatalmente immortali. Eppure, se le nuove generazioni hanno paura di non avere futuro perché la Terra sarà invivibile tra cinquanta anni, ugualmente dovrebbero averne quando mettono a rischio la propria vita shakerando droghe, alcol e velocità. Anche il Presidente della Repubblica ha esortato tutti a una guida prudente, ma sembra senza esito. Da decenni si attivano campagne pubblicitarie per smuovere le coscienze ai valori della vita e alla responsabilità che ognuno ha nei confronti di se stesso, ma sempre senza particolare successo. L’ebbrezza di affondare il pedale dell’acceleratore e vedere scorrere la vita fino allo schianto prevedibile, è, sicuramente, un film già visto, ma che si replica senza pause. Il tachimetro che sale vertiginosamente produce una frastornante eccitazione, che ottunde la coscienza e vanifica ogni buon proposito salva-vita. La morte che sfida la vita, come pulsioni opposte che si misurano in un braccio di ferro spietato, dove, però, chi vince ha comunque perso! Mi viene in mente Icaro, che con ali di cera è volato verso il sole, ignaro della inconsistenza della materia delle sue ali, cadendo inesorabilmente. Gli antichi greci chiamavano ὕβρις (Hýbris) la tracotanza che spingeva l’eroe oltre i confini umani, che gli dei punivano sempre, affinché si evincesse il mancato riconoscimento dei propri limiti. È probabile che il paradosso dei giovani stia proprio nel non percepire i propri limiti, ma nello stesso tempo nel saper riconoscere e condannare i limiti degli altri, quando non rispettano se stessi, il mondo e la natura.

Vero è che non tutti i giovani cercano l’ebbrezza della velocità, dell’alcol e delle droghe, avendo sperimentato emozioni altrettanto psichedeliche ma costruttive. La giovane età, però, per quanto esaltata come la migliore stagione della vita, nasconde molte incertezze e disagi affrontati con strumenti e risorse non sempre adeguate. I venerdì dedicati al futuro, della protesta dei giovani di Greta Thumberg, rischiano di naufragare il sabato, perché la giovane età è paradossale per definizione, collocandosi agli estremi del bene e del male nella ricerca difficile di un equilibrio. Se i giovani lottano per salvare il futuro, gli adulti dovrebbero lottare per salvare il loro presente, offrendo spunti creativi per esprimere difficoltà e inadeguatezze, per sostenerli nell’accesso alla cultura, allo sport e all’esplorazione di se stessi e del mondo, considerandoli parte viva e attiva del presente. Più i giovani si sentono parcheggiati in attesa della realizzazione di sé, più cercano di rincorrere quel futuro che non arriva mai, sorpassando pericolosamente il presente.

Clima, un anagramma che ci parla

Il Clima, inteso come termometro della salute del Pianeta Terra, è l’argomento più discusso e dibattuto  a livello mediatico, con articoli, dossier e reportage. Ghiacciai che scompaiono, livello del mare che si eleva, fiumi che esondano, bolle d’acqua che esplodono e fuochi che divampano, tutti sintomi preoccupanti sia  per la prognosi del malato Pianeta Terra, sia  per la cura salvifica da trovare.  Con il termine clima, se si provasse a fare un anagramma, risulterebbe in italiano la parola calmi, mentre in inglese la parola claim, nel significato di richiesta. Calmi e richiesta, parole che  si nascondono tra le pieghe del clima, tanto imperativa la prima, quanto  supplichevole la seconda. Cosa se ne può dedurre? Che il Pianeta Terra attraverso il clima  chieda agli essere umani di stare calmi, cioè di affrontare il problema con ponderazione, ascoltando  le grida di sofferenza degli elementi della Natura, terra, acqua vento e fuoco?  Sicuramente,  il  succedersi di eventi atmosferici inusuali e spesso catastrofici,  sollecita  la ricerca di soluzioni,  che, trovare   velocemente, magari con ansia, può servire a poco.  La richiesta supplichevole del Pianeta Terra  è di fare presto, ma senza fretta! Le fondamenta dell’ educazione al rispetto del Pianeta sono da rinsaldare, affinché  si possa edificare una struttura fatta di comportamenti dalle conseguenze non distruttive per l’ambiente, di ricerca della bellezza intrinseca delle cose, dei valori della vita e della consapevolezza del significato dell’esistenza. La Terra richiede empatia, cioè provare a osservare quanto accade come se, per un attimo, la Natura, di cui siamo figli, fossimo noi,  la cui casa venisse tutti i giorni violata da ospiti inattesi e indesiderati. Un grattacielo di sapere, conoscenza, educazione, consapevolezza ed empatia potrebbe salvare il Pianeta Terra e il suo clima, ma è necessario costruirlo facendo ognuno la propria parte, con un mattoncino di amore e di desiderio per il proprio benessere e quello degli altri.

Per salvare il Pianeta Terra

Una decina di anni fa rilasciai l’intervista qui riportata  all’ADN Kronos, che su questo sito venne in seguito  ripresentata. Oggi alla vigilia della giornata dedicata alla Terra e alla  sua salute  ripropongo l’intervista  per sottolineare quanto sia difficile modificare comportamente e abitudini, affinché si possa realmente e attivamente salvare il Pianeta dall’inquinamento.  In questi  ultimi dieci anni ben poco è cambiato, perchè per aiutare la nostra casa naturale  dovremmo, oltre che parlare,   coscientemente agire, partendo da se stessi, sempre, per non ristrovarsi nello scenario prefigurato da Bob Dylan nella sua ballata “Hard Rain”!

Roma, 30 set. (Adnkronos) – Non riusciamo a rispettare l’ambiente, “nostra casa naturale”, perchè non riusciamo ad “investire sul futuro. Oggi, infatti, l’umanità assiste ad un progressivo declino della qualità della vita” e “vive come se ogni giorno fosse l’ultimo”. Per invertire la tendenza servono progetti scolastici idonei a formare le generazioni più giovani. Negli adulti, invece, la formazione di un pensiero ecologico richiede molto di più: “un lavoro corale” che coinvolge istituzioni, mass media e naturalmente ogni singolo individuo” attraverso il quale passare dalla catarsi alla trasformazione”, in altre parole, resettare e riconfigurare partendo da una maggiore capacità di avere cura di sè, della propria ‘casa interna’ per poi percepire più profondamente la propria ‘casa esterna’ e così averne naturalmente cura. Sira Sebastianelli, psicologa e psicoterapeuta, spiega all’ADNKRONOS il proprio punto di vista sul perchè sia ancora così poco diffusa la sensibilità ambientale, nonostante gli allarmi di tanti e autorevoli organismi internazionali.

 

“Il mondo della natura – argomenta – è paragonabile al mondo dell’inconscio umano dove si abbandonano, utilizzando un meccanismo di difesa chiamato rimozione, resti psichici che non possono abitare la coscienza. Un inconscio impermeabile e permeabile come il mondo, dove ciò che vi si deposita a volte penetra nella profondità e a volte rimane in superficie. Tutto il materiale tangibile o intangibile, però, lascia traccia di sé e sedimenta stratificandosi dalla profondità alla superficie, da dove spesso è complesso e difficile far riaffiorare contenuti che devono farsi strada tra strati calcarei contaminanti che ne modificano la struttura originaria. Quando si gettano pezzi di carta o cicche di sigaretta per strada, dove cadono? Nel mondo cosciente o nel mondo inconscio?”.

“Nel mondo cosciente – sottolinea Sebastianelli – rimangono le scorie materiali di un gesto privo di senso civico che qualcun altro può raccogliere, ma nel mondo inconscio precipitano le scorie dell’anima attraverso un gesto pregno di significato, che nessuno, tranne una ritrovata consapevolezza del responsabile può raccogliere. Solo facendo luce sulle motivazioni profonde dell’incuria, si possono diradare le ombre della distruttività di sé. Un metallo prezioso come l’argento ci può aiutare a capire cosa accade all’animo umano nel corso della sua esistenza”.

“L’argento, come si può verificare su un qualunque oggetto creato con questo metallo, reagisce all’aria e perde la sua brillantezza, fino ad arrivare lentamente all’opacità primitiva: mai si sospetterebbe che sotto quello strato color antracite si nasconde una lucentezza argentea. A questo punto – continua – proviamo una associazione paradossale e azzardata tra l’essere umano e l’argento, ma che forse ci aiuta a comprendere l’intermittenza dell’energia profusa da ognuno di noi per salvare l’ambiente. Il bambino quando nasce è proteso a soddisfare i suoi bisogni primari, completamente dipendente dalla madre o da una figura primaria per sopravvivere, seguendo quello che Freud chiamava principio di piacere, cioè il bisogno di rispondere al desiderio di mangiare, dormire etc. senza differire nel tempo il soddisfacimento dello stesso”.

“Con il passare dei mesi, attraverso l’educazione, le migliorate capacità di interazione con l’ambiente e lo sviluppo cognitivo, che consentono un miglior adattamento alla realtà secondo quello che Freud chiamava il principio di realtà, il bambino – dice la psicologa – riesce a differire il soddisfacimento dei bisogni. Ora, guardando il declino della qualità della vita nel mondo in cui viviamo, sembrerebbe che il principio di realtà sia sopraffatto dal principio di piacere, che risponde al motto ‘tutto e subito’. Una persona risponde solo al proprio bisogno, senza curarsi dei bisogni degli altri e senza prevedere gli effetti che il soddisfacimento immediato di un certo bisogno può produrre, come il gettare una cicca di sigaretta ovunque capiti”.

“Il processo regressivo, probabilmente, che coinvolge l’essere umano, per non dire il genere umano, nel momento in cui si sente dipendente, bisognoso di avere qualcuno che si occupi di sé, non più protagonista della propria vita – spiega Sebastianelli – attiva il principio di piacere a detrimento di quello di realtà, lo stesso processo che avviene nell’argento che dalla opacità (fase primitiva, principio di piacere) passa alla brillantezza (fase più evoluta, principio di realtà) per poi tornare alla opacità se lo si abbandona, pur conservando, però, la potenzialità luminosa”.

Come fare per riportare alla luce quelle potenzialità che consentirebbero un miglior rispetto di sé e degli altri? “Se differire il soddisfacimento di un bisogno è difficile se non impossibile, evidentemente – chiarisce – non si riesce ad investire sul futuro perché non lo si intravede, ed è inevitabile non prevedere le conseguenze di un proprio comportamento. L’umanità oggi vive come se ogni giorno fosse l’ultimo, nonostante vengano messi al mondo bambini che sono la personificazione del futuro”.

Allora, cosa c’è che non va? Qual è il significato di questa contraddizione? “Forse – ragiona la psicoterapeuta – è la conferma della inconsapevolezza in cui siamo precipitati, al punto di non avere più senso critico e forse è il senso di abbandono che l’uomo del terzo millennio vive sempre più, che lo spinge, senza successo, a ricercare gli altri, non per cercare un confronto, ma per avere qualcuno cui potersi affidare per lasciarsi andare ed essere protetto, accudito… amato. Più ricerca, però, l’altro per non sentirsi solo e più cade nel pozzo dell’isolamento, più cerca di aggrapparsi e più si sente respinto”.

“Con questo stato d’animo di disperazione devastante quale principio etico può supportare il rispetto di sé e del mondo in cui si vive? Se l’essere umano non riscopre sé stesso e il significato più profondo dell’esistenza – evidenzia Sebastianelli – non si può recuperare nulla. Un punto da cui partire è proprio il significato della parola natura, che in passato si scriveva con la N, maiuscola, per sottolineare una entità a cui rivolgersi con doveroso rispetto sempre e non solo, come avviene oggi, quando la sua forza si manifesta con eventi catastrofici. Il termine naturale, poi, si usa giustamente come contrario e opposto al termine artificiale, ma anche come erroneo sinonimo di semplice. In realtà, in Natura nulla è semplice, anzi non c’è niente di più complesso. Meno si vive nella consapevolezza di essere costantemente in contatto con la Natura e più la si sottovaluta. Specialmente nelle città si perde di vista il mondo in cui si è immersi dove tutto sembra possibile e nessun limite viene tracciato”.

“Non è un caso che si ricorra sempre più ai divieti, anche per avvertenze banali dove basterebbe un po’ di senso civico, proprio perché l’infatilizzazione dell’essere umano non prevede l’attenzione a sé e al mondo, richiedendo il controllo costante di una autorità. Ovviamente, più c’è chi veglia e controlla – avverte Sebastianelli – più non matureranno le condizioni interne per sviluppare autonomia, e qui si entra in una strada senza via d’uscita. Il controllo degli uomini si può allentare parallelamente alla crescita della autonomia, attraverso l’educazione insieme alla responsabilizzazione, e al consolidamento della fiducia dei ‘controllati’ in sé stessi per farli sentire sempre più protagonisti della propria vita”.

“Il proliferare dei graffiti e dei tatuaggi – osserva la psicologa – è la cartina tornasole di un disagio che serpeggia, ovunque. Tale disagio lo chiamerei ‘la sindrome di nessuno’, cioè non sentirsi riconosciuti, al punto di preferire, paradossalmente, alla visibilità della trasparenza la invisibilità dell’apparenza. Trasparenza vuol dire essere più visibili a sé stessi e agli altri, lasciando intravedere la sostanza interna, cioè l’anima, mentre apparenza vuol dire essere solo sostanza esterna, cioè materia, e ancor più invisibili a sé e agli altri, mostrando solo esteriorità. L’esteriorità rende invisibili, mentre l’interiorità rende visibili. Ecco che l’argento ritorna. Questo metallo, infatti, trova la sua luminosità solo quando si rimuovono gli strati superficiali che lo opacizzano”.

Per realizzare un progetto di cambiamento nel rapporto tra “Uomo e Natura – dice Sebastianelli – sarebbe utile che i quattro stadi a cui fa riferimento la psicologia analitica di Jung nel trattamento terapeutico, venissero applicati alla società in questa sequenza. Primo, l’educazione, punto di partenza per dare impulso al processo che condurrà alla consapevolezza di sé, attraverso il proporre punti di vista diversi rispetto al modo di affrontare la vita. Secondo, la chiarificazione, passaggio dalla comprensione puramente razionale degli eventi ad una più emozionale. Terzo, la catarsi: attraverso gli stadi precedenti si può giungere alla purificazione, che consente di nascere a nuova vita. Quarto, la trasformazione: elaborazione dei processi consci ed inconsci per poter raggiungere la metamorfosi”.

Quale applicazione pratica potrebbe avere tale progetto finalizzato alla produzione di un pensiero ecologico ? “Le prime due fasi, dell’educazione e della chiarificazione – dice Sebastianelli – potrebbero trovare applicazione all’interno di progetti scolastici, per formare le generazioni più giovani ad un pensiero ecologico, che renderebbe del tutto naturale comportarsi in sintonia con le esigenze dell’ambiente”.

Mentre, “le generazioni più adulte dovrebbero attraversare, invece, tutte e quattro le fasi per poter ipotizzare la formazione di un pensiero ecologico. Per questa finalità i mass media potrebbero essere di aiuto”. Non aiuta invece “la dilagante proposta di quiz di abilità per far veder quanto si è bravi ad associare, controllare o indovinare – sostiene la psicologa – L’uso del pensiero sarà faticoso, però va incentivato, anche sotto forma di gioco poichè è l’unica ancora di salvezza”. E per gioco, Sebastianelli, intende spazio creativo, domande che richiedano l’elaborazione di un pensiero e consentano risposte aperte e non chiuse come quelle dei quiz. “L’Umanità – rimarca – è sopravvissuta ed è progredita perché pensava, anzi speculava tra i meandri della mente, oggi questa attività non si pratica più e le conseguenze si vedono”.

“Solo con un lavoro speculativo del pensiero, costante e continuo – conclude Sebastianelli – si può ipotizzare di mantenere il rispetto di se stessi e della natura. L’argento se si abbandona perde la sua lucentezza, così come l’essere umano, se abbandona se stesso perde la sua luce interiore ed emerge il suo lato oscuro… primitivo… ctonio che Carl Gustav Jung chiamava Ombra”.

29 OTTOBRE 2018 UN OSPITE INATTESO A TERRACINA

 

29 OTTOBRE 2018. Un ospite inatteso a Terracina

 

 

29 ottobre 2018, un  uragano di intensissima forza ha investito la città di Terracina, lasciando, in pochi secondi, dietro di sé morte e distruzione. La città non aveva mai registrato una calamità naturale così violenta, al punto di lasciare   tutti gli abitanti  annichiliti e attoniti.

Molte le zone della città colpite e distrutte  dall’inimmaginabile vento, che con il tempo potranno essere ricostruite per come erano, ma  ciò che non potrà essere più  come prima è il viale della Vittoria, luogo storico di passeggiate e incontri all’ombra dei pini marittimi,  cresciuti  insieme  a molte generazioni di terracinesi. Gli alberi che rendevano unico il panorama della città non esistono più, crollati sotto l’onda sferzante del vento impetuoso. Tra l’altro,  gli alberi furono  piantati cento anni fa, in occasione della vittoria della Prima Guerra Mondiale, dai  prigionieri  che espiavano la colpa, di essere nemici,  con la pena  che oggi si chiamerebbe “lavoro socialmente utile”.  Alberi che rappresentavano la vita che rinasceva,  insieme alla necessità  di elaborare i tanti lutti che la grande  guerra aveva prodotto. Purtroppo, le guerre non finirono cento anni fa e ancora sacrifici di vite umane  si sono consumati nel tempo, senza aver mai  potuto piantare alberi della vittoria. L’albero è il simbolo della vita, la salute di un albero equivale alla salute dell’umanità e la perdita di un albero  depaupera il patrimonio dell’umanità. Oggi  la città di Terracina è più povera,  spogliata del  suo canale verde e della sua fauna,  deprivata dei raggi di sole che filtravano, con  un gioco di luci e di ombre, tra le fronde aghiformi dei pini.  Pini maestosi che erano diventati rassicuranti con la loro presenza immobile e paziente, testimoni silenziosi di eventi piacevoli e tristi che i cittadini terracinesi  hanno  vissuto in quest’ultimo secolo. Il sacrificio della città di Terracina   sicuramente lascerà traccia nell’immaginario collettivo, ma sarà anche utile che non se ne perda memoria, perché il ricordo del dolore consente di migliorare la vita, riconducendo al cuore dell’esistenza  e ai suoi valori. L’immagine degli alberi sradicati  deve evocare ancor di più le proprie radici  che affondano  nella Grande Madre Terra, contenitore dei  semi della rinascita e, quindi, della nuova vita.

Tra i pini sacrificati alla furia di Eolo ci sono anche i Due Pini della via omonima, che, come le torri gemelle,  rimarranno assenti  nella loro acuta  presenza, a testimonianza della imperscrutabilità della Natura che non consente previsioni. L’essere umano  a volte dimentica di appartenere alla Natura, le cui leggi, anche se incomprensibili e inaccettabili, si rispettano.  Chi naviga nei mari in tempesta, con i venti che giocano a rincorrersi tra le onde, è consapevole  di quanto sia importante   tenere  saldamente il timone in mano e  navigare a vista, modificando se necessario la rotta pur di arrivare in un porto sicuro,   lo stesso cui giungere psicologicamente nei momenti  difficili, per sentirsi accolti, protetti e sicuri. In questo momento storico siamo  naviganti nel  mare in tempesta, ma l’unico modo per resistere è accompagnare con flessibilità gli eventi, per comprenderli  e adeguare la rotta alla necessità del momento, affinché si possa con fiducia approdare in acque sicure.

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

(terracinese)

Fotografare la Notte

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Mito Roma, supplemento di International Urbis et Artis, N.1 Gennaio Febbraio 2018

FOTOGRAFARE LA NOTTE

Cosa si può fotografare di notte, senza usare luci artificiali?  L’essenza  del Mondo!  Un mondo sfrondato del superfluo e dei bagliori offuscanti del giorno.

La notte evoca  il buio, la paura ancestrale che l’essere umano porta con sé fin dalla nascita, quando, nella separazione dal caldo e rassicurante contenitore materno, si è ritrovato solo  nel mondo ad affrontare i mostri della sua esistenza.  La paura, così, diventa un motore propulsivo per conoscere l’inconoscibile, per attraversare l’impensabile, per abbracciare l’impalpabile forma della notte.  L’ambiguo fascino della notte attrae come il canto delle sirene, provocando un desiderio irrefrenabile di conoscerla e svelarla alla propria coscienza.  Un giovane fotografo peruviano Musuk Nolte, vincitore dell’edizione 2017 della Elliot Erwitt Havana Club7 Fellowschip, ha  ritratto Cuba di notte  offrendone una lettura più vicina al sogno che alla realtà.  In un’ intervista da lui rilasciata al Corriere della Sera   e pubblicata sul magazine Style (n.11 novembre 2017), Nolte spiega la scelta di intitolare la serie delle sue foto  “Ombra sull’Isola”, per  cogliere l’ombra di un’isola che in realtà è impossibile da vedere.  L’artista,  nel buio lunare, imprime sulla pellicola il naturale  corso della vita attraverso volti, sguardi,  paesaggi, con l’inevitabile filtro della notte  che nasconde dettagli, ma amplifica emozioni.

In un  famoso film “Effetto Notte”, il regista  Francois Truffaut, cercava  la  notte  cinematografica per immergervi una storia che evidenziasse la notte della coscienza dei personaggi,  all’interno di difficili relazioni. Musuk Nolte, come il regista francese, cerca la notte nella realtà,  senza effetti   speciali, ma con lo stesso intento di cogliere l’ombra della notte che contiene l’ombra della vita,  invisibile, ma dirompente e trasgressiva.

 

Sira Sebastianelli

Psicologa-psicoterapeuta

Stelle Cadenti

STELLE CADENTI

 

In questi giorni  il cielo della notte dovrebbe essere attraversato da scie luminose causate  da frammenti di meteore  incandescenti, chiamate stelle cadenti.  Se si scruta il cielo, lontano dall’inquinamento luminoso delle città, si dovrebbe poter assistere allo spettacolo  naturale di pioggia di piccoli fuochi,  esprimendo un desiderio, almeno questa è la tradizione. Quando si parla di desideri, in genere, la lista sembra essere lunghissima,  al punto di non sapere a quale di essi dare la precedenza. È il  pensiero magico-animistico, legato all’infanzia, che induce persone adulte a credere a questi eventi propiziatori, affinché possano  favorire la realizzazione  di un desiderio,  regalando  l’illusione di un attimo di onnipotenza.   In fondo, perché non provare, al limite non succede niente!

Accade, anche, di incontrare persone che hanno smesso di desiderare, senza esserne consapevoli, rimanendo interdette di fronte alla richiesta di un desiderio.  Un desiderio non si risolve soltanto nell’improponibile aspirazione a vincere milioni di euro o trovare l’amore della vita, un desiderio può essere la spinta a superare le proprie paure per realizzare un progetto, per raggiungere un obiettivo e  oltrepassare la soglia del limite che impedisce di trovare se stessi.  Più spesso si attende che qualcosa accada, senza che un desiderio abbia creato un varco per avviare un percorso, rendendo vana l’attesa. Forse, c’è sempre stato un equivoco di fondo che ha lasciato confondere  il significato di desiderio con qualcosa  di effimero e quindi  distraente rispetto alla necessaria fatica per arrivare alla meta  prefissa.

Senza voli pindarici, un desiderio può attivare un’azione utile per costruire  l’impalcatura che consente di lavorare intorno alla propria opera, investendo, comunque, energia psico-fisica, perché non c’è bacchetta magica che realizzi  desideri, se non quella della perseveranza e della lungimiranza. In realtà, la differenza tra vivere e sopravvivere sta proprio nella capacità di desiderare e si dovrebbe essere nella condizione psicologica di poter sempre desiderare, anche quando  si è più inclini alla paura di incorrere in una disillusione, soprattutto  in età in cui si può avere la sensazione di avere realizzato tutto sentendosi sazi o meglio ancora stanchi, senza energie.

Quale miglior ricostituente o integratore, allora, può essere il desiderio di continuare a cercare se stessi  seguendo la strada più adatta  per plasmare l’ opera della vita,  attivando l’artista interno che cura ogni male consentendo di poter recitare insieme a  Cicerone   “opera desiderat tempus et animum vacuum ab omni cura” (l’opera  necessita  di tempo e di animo libero da ogni  preoccupazione)!

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

 

 

 

 

ONDE GRAVITAZIONALI

 

 

Onde Gravitazionali

Una nuova finestra si è aperta sull’universo che consente di vedere oltre la siepe della conoscenza. Antenne americane ed europee hanno rilevato segnali che  confermano quanto aveva anticipato e ipotizzato lo scienziato Albert Einstein, circa l’esistenza delle onde gravitazionali trasmesse dallo scontro di  buchi neri che  abitano l’universo.  Quanto accade nella scienza non può non interessare la psicologia, poiché  ogni scoperta può avere risvolti  interessanti nella evoluzione dell’umanità.  Del resto, quanto ieri era solo  fantascienza, oggi, diventa sempre più realtà.  La stazione spaziale, per esempio,   orbitante intorno alla Terra, che ospita astronauti e astronaute, ormai, è un avamposto cosmico stabile e sempre più realistica  sembra essere la possibilità del viaggio umano su Marte.

Sui buchi neri, per tornare alla rilevazione delle onde,  si sa ben poco e molto si è ipotizzato e fantasticato. Non a caso, infatti,  quando  intendiamo sottolineare una situazione senza poterne prevedere i contorni  o l’entità della portata delle conseguenze, utilizziamo l’espressione “buco nero”.  Un buco nel quale si entra e non si può prevedere cosa ci può essere dentro e come se ne potrebbe uscire.   Un po’ come entrare in fasi della vita in cui non si riesce a intravedere nulla e si è completamente disorientati, finché  un’antenna interna non percepisca l’onda  prodotta dal disagio psichico, che impone  la ricerca di un raggio di luce nel buio in cui si è immersi.  Sembra un ossimoro affermare che un buco nero aiuti a far luce nell’universo fuori di noi e dentro di noi, ma  se si producono onde, forse, può significare che esiste una cassa di risonanza dove vibrano particelle di vita che risvegliano a nuova vita.

 

Sira Sebastianelli

ASILO&ISOLA:anagramma dell’anima

ASILO &  ISOLA: anagramma dell’anima

 

Sono, ormai, anni che vediamo, su tutti i media, barconi o gommoni carichi di persone che si spingono verso le coste italiane o greche per chiedere asilo. Barconi il cui scafo sprofonda in mare, lasciando affiorare a pelo d’acqua le sagome di donne, uomini e bambini, talmente pigiati l’uno contro l’altro che se ne perdono i contorni.  Non tutti, purtroppo, raggiungono la terra, ma chi, ne ha la fortuna, tocca il suolo dell’isola agognata  senza sapere  che nella lingua italiana isola è l’anagramma di asilo.

Nel  desiderio di salvezza  un’inconsapevole  congiunzione di due miraggi: asilo & isola.

In questi giorni la migrazione di tante persone segue le vie di terra, ma sempre con lo stesso scopo   di trovare una metaforica isola  di salvezza che dia asilo.

Asilo è il luogo da dove non si può essere portati via,  in cui si è al sicuro, e  l’isola  è un luogo che il mare protegge, ma che a volte imprigiona per la tempesta dei flutti.  Due termini che intrinsecamente racchiudono uno stesso significato rappresentato simbolicamente  da un cerchio,  all’interno del quale si è  protetti, ma dal quale  non sempre si può uscire.

La via di uscita sta nel superamento degli ostacoli  prodotti dalla paura del cambiamento che inevitabilmente la nuova realtà migrante produce.  Proprio quando si ha paura,però, si cerca un posto sicuro dove trovare rifugio e ognuno di noi avrebbe  diritto ad un’isola su cui approdare per chiedere asilo, per poterne  ripartire rinfrancati e rassicurati.  Come nell’infanzia il posto sicuro era il grembo materno oggi è la Grande  Madre, archetipo risvegliato dalla necessità di accogliere e nutrire.

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

ECLISSI DI PRIMAVERA

ECLISSI  DI  PRIMAVERA  20 marzo 2015

Equinozio  di primavera* ed eclissi di sole. Sembra un ossimoro!  La primavera non può fare il suo ingresso  con il sole offuscato, parzialmente o totalmente,  dalla luna. Il sole dovrebbe rinascere a primavera, perché dovrebbe accorciare la sua ombra per risvegliare le gemme, ma la luna invade il campo solare per essere protagonista, almeno una volta, dell’equinozio  di marzo.

La luna, simbolo femminile,   chiede visibilità  togliendola, forse  per invitare  la coscienza degli abitanti della Terra ad una riflessione insolita, ma necessaria?  Un invito ad osservare  l’ombra della luna, in un momento storico in cui la luce abbagliante del sole, simbolo maschile, produce miraggi mortiferi?

Tra  le popolazioni primitive eventi  come  l’eclissi del sole, producevano spavento e presagi di sventure, perché ignoravano cosa realmente accadesse. Oggi le sventure accadono al di là dei presagi e a conferma di ciò è sufficiente aprire la finestra sul mondo per vedere fuochi di distruzione e sentire  echi di esplosioni.  Allora, perché non ascoltare la voce della Luna che si scomoda per indurre  nell’essere umano  la  consapevolezza di quanto possa essere effimero pensare di poter dominare il Mondo,  all’interno di un Universo infinito, che, se decide di muoversi, non lascia scampo?

Tante domande che non trovano risposte e non prevedono risposte, perché ogni essere umano è portatore di conoscenza e tutto quello che dovrebbe  sapere può trovarlo dentro di sé  tra le luci e le ombre della propria esistenza,  affinché l’eclissi non sia della  coscienza.

 

*astronomicamente cade il 20 marzo