Toccata e fuga

Quante volte nel linguaggio comune è usata l’espressione “toccata e fuga” per intendere una presenza veloce e fugace, quando il tempo a disposizione è limitato, ma tante sono le incombenze da portare a termine? Un desiderio di ubiquità si cela dietro il bisogno di essere ovunque, rincorrendo gli impegni presi e non procrastinabili? Difficile rispondere, ma se ci fermassimo a riflettere, facendoci guidare dalla psicologia e dalla musica forse potremmo trovare un nuovo senso, ritmo e sonorità all’esistenza.

In effetti, la toccata e la fuga sono forme musicali dove le note si inseguono quasi affannosamente, ma armoniosamente, senza mai raggiungersi. Carl Gustav Jung associava l’Arte della Fuga a un Mandala (cerchio sacro) per la sua circolarità, considerando che la “la forma musicale è espressione del carattere circolare dei processi inconsci”(Jung, C.,G., Lettere II, Roma, Edizioni Scientifiche Ma.Gi., 2006, pag.153).

Johann Sebastian Bach, nella famosissima Toccata e Fuga in Re minore, ci ha magistralmente esemplificato cos’è una toccata e una fuga, quasi preconizzando il bisogno dell’essere umano, nel terzo millennio, di ritrovare nuova armonia. Toccata e fuga, quindi, non per illudersi di possedere il dono dell’ubiquità, ma per comporre la partitura della vita che include intervalli, pause e respiro, parole chiave per accedere a nuovo senso, ritmo e sonorità. È possibile che Johann Sebastian Bach, musicista e compositore del ‘700, fosse consapevole della componente terapeutica della musica, tant’è che “[…] scrisse Le Variazioni di Goldberg per i clavicembalisti di un conte che non riusciva a dormire. Esse sono forse l’esempio più grandioso di terapia musicale.” (Rasche, J., Il canto del leone verde, Roma, Edizioni Magi, 2006, pag.50).

Il linguaggio comune potrebbe aver mutuato l’espressione toccata e fuga dalla musica o viceversa, ma la riflessione rimane la stessa se la sensazione è comunque di rincorrere qualcosa senza mai raggiungerla o magari solo appena toccarla. L’armonia in una composizione può suggerirci quanto l’ascolto della musica consenta di connettersi con la parte più profonda di sé, fermandosi un istante per ritrovare un punto da cui ripartire con nuovo ritmo:

 

“E tutto il resto eccolo qui –

È come Bach suonato sul bicchiere

per un istante.”

(Szymborska W., Progetto un Mondo, da La gioia di scrivere, Milano, Adelphi Edizioni, 2009, pag.99)

2018, infinito verticale


2018 alle porte, un numero nuovo da memorizzare e una nuova agenda da riempire. Per quanto non se ne sia consapevoli sono tante le aspettative che si ripongono nel nuovo anno, perché c’è il desiderio di cambiare e  di trovare stimoli per averne il coraggio. Come spesso mi è capitato di scrivere, ogni giorno che passa  non ci trova più vecchi di ieri, ma più giovani di domani, cercando di cambiare prospettiva rispetto al tempo che passa,  per  non vivere la costante sensazione di essere fuori tempo. Capita di sentire espressioni come “ormai, è tardi!”, ma qual è il metro di misura per decidere il superamento del limite?  La vita porta con sé il senso del limite, ma non è l’età  cronologica che lo decreta. Perché, allora, non provare a entrare nel 2018 con la sensazione di infinito che il numero 8 evoca, come simbolo di un infinito verticale, che ancora di più consente di elevarsi verso  nuovi obiettivi cercando se stessi in dimensioni da esplorare e conoscere?

L’augurio che si può fare a se stessi, per il 2018, è proprio quello di accompagnare il tempo come alleato di una vita che per essere vissuta ha  bisogno, paradossalmente,  del tempo, perché  ne segna  il valore infinito  nonostante la  finitezza dell’essere umano.

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta