Tra scienza e fantascienza: quando il gioco diventa realtà!

Nel 2005 l’incidente del Corrupted Blood, sangue corrotto, causato da un problema tecnico creatosi all’interno di un gioco virtuale chiamato World of Warcraft, sembra aver anticipato tutte le problematiche pratiche e psicologiche evidenziate dal virus Corona, che in questi mesi si è andato diffondendo attraverso il contagio, in prima battuta da animale a essere umano e poi da essere umano a essere umano.

L’epidemia virtuale all’interno di World of Warcraft fu scatenata dall’introduzione volontaria nel gioco di un effetto negativo, denominato debuff, le cui conseguenze, tra gli avatar dei giocatori (reali), sfuggirono di mano, al punto di causare la diffusione di un virus che dagli animali, sempre virtuali, dei cacciatori e dei demoni stregoni, si trasmetteva ai giocatori. La pandemia danneggiò i giocatori del livello più alto (forti) e uccise quelli del livello più basso (deboli), al punto che da quel momento in poi i comportamenti dei partecipanti al gioco iniziarono a sovrapporre il virtuale con il reale. Il contagio si trasmetteva in modo esponenziale, nessuno se ne poteva sentire al riparo, ma ci fu chi, avendo poteri curativi, cercava di aiutare a guarire i malati, chi ne approfittava per eliminare concorrenti pericolosi e chi invece si nascondeva nei luoghi più remoti, aspettando che si arrivasse a una risoluzione della pandemia.

L’evento del sangue corrotto negli anni è stato studiato per la sua singolarità, legata sia alla diffusione imprevedibile del bug e sia alle reazioni dei giocatori che offrivano una simulazione molto reale di quanto sarebbe potuto accadere. Oggi, il corona virus ha trascinato la simulazione nella realtà più drammatica. Paura, diffidenza, allarme, bisogno di cercare barriere anche inutili per difendersi dal nemico invisibile, hanno attraversato lo schermo del virtuale e si sono collocate nella vita reale. Nelle situazioni di pericolo si manifestano meccanismi di difesa messi in atto da ogni essere umano per salvarsi, per evitare di soccombere, in questo caso, al contagio, producendo comportamenti che lasciano sempre uno spazio alla imprevedibilità. La soluzione alle epidemie contemporanee, come anche in quelle virtuali, è la stessa che nei secoli è stata applicata dalle comunità contagiate da malattie delle tipologie più varie, cioè la quarantena! La quarantena non è solo l’isolamento delle persone, delle città e delle nazioni infette, ma il numero dei giorni per giungere al compimento di un ciclo e prepararsi a un cambiamento radicale. Il tempo della quarantena è quasi un periodo di prova per chi la subisce oltre a essere associata a un castigo, come nel racconto biblico del Diluvio Universale. L’evento del Corrupted Blood si verificò il 13 settembre del 2005 e si tentò di risolvere anch’esso con una quarantena che cercò, anche se insufficientemente, di chiudere il gioco per poter “purificare” il meccanismo infetto. Incredibilmente, il numero 13 è associato al 40, condividendo gli stessi significati, di morte simbolica, di prova iniziatica e di trapasso che permette la seconda nascita, la nascita spirituale. (Morel, C., Dizionario dei simboli, dei miti e delle credenze, Giunti Editore, Firenze,2006). Un filo rosso che congiungeva il giorno in cui si sarebbe scatenato il contagio con la sua soluzione, cioè la quarantena. La quarantena, va rispettata nel virtuale, ma soprattutto nel reale, perché nel mondo reale si ammalano e muoiono le persone, mentre nel mondo virtuale muoiono gli avatar, programmati per rinascere. Gli esseri umani possono rinascere soltanto simbolicamente a nuova vita e la speranza è che la quarantena, in cui oggi il mondo è confinato, serva realmente a questo.

ANGELI, barriere piumate dell’esistenza!

In questi ultimi tempi assistiamo a un’invasione di esseri alati che con i loro arti piumati rompono l’aria, emanando un soffio vitale negli animi umani. Il messaggero di Dio sembra sia tornato sulla terra e, oggi più di ieri, l’umanità ne sente il bisogno e ne evoca la sua presenza. L’angelo custode, non a caso, è diventato il protagonista del mondo contemporaneo proprio quando la robotizzazione consente di aspirare sì al paradiso, ma a quello artificiale. Ormai la figura dell’angelo è presente sempre di più nella pubblicità, nei testi delle canzoni, nelle produzioni letterarie e nei film, dove in ogni epoca è stato scritturato. L’interesse psicologico è inevitabile e di conseguenza avviare una riflessione è possibile, per capire un po’ di più l’essere umano, alla ricerca di se stesso e del senso della vita.

L’essere umano ha sempre albergato dentro di sé dimensioni opposte, ma indissolubilmente legate come il bene e il male, il positivo e il negativo, la luce e le tenebre, che nell’immaginario collettivo possono trovare una raffigurazione simbolica nell’immagine angelica o demoniaca.

L’impalpabilità di tali entità astratte stimola la fantasia, al punto di attribuire a esse delle sembianze umane e la società in cui viviamo oggi, essenzialmente fondata sull’immagine, non poteva non attingere all’iconografia, che nei secoli ha rappresentato gli angeli o i diavoli, per riproporli.

La figura angelica si manifesta, probabilmente, per il bisogno di avere una guida, oppure di qualcuno che ci dica se stiamo procedendo bene o male, ci consigli, ci protegga, che ascolti in modo disinteressato e sia sempre disponibile per lenire la sofferenza, derivante dal senso di solitudine, che pervade la propria anima. Emerge, così, l’esigenza di ricevere qualcosa di buono e di positivo in un momento in cui l’esistenza è costellata di aggressività, prevaricazione, competitività esasperata che inevitabilmente generano e alimentano l’ansia. L’angelo si trasforma in un compagno di viaggio su cui contare, soprattutto, quando si perde la fiducia in se stessi. A questo punto, l’esistenza si circonda di angeli, per esorcizzare la paura della zona d’ombra della vita, creando intorno a sé una barriera piumata, per evitare le infiltrazioni demoniache, espressione di distruttività dei valori della vita, per garantirsi, oggi più che mai, la luce della consapevolezza. Qualcuno potrà essere scettico altri fortemente convinti che gli angeli esistano, ma in ogni caso sarebbe utile porsi la domanda come mai l’essere umano si senta così solo da cercare una presenza  condizionatamente disponibile nella propria vita. Quando si riceve una parola di conforto o si è salvati dall’intervento di qualcuno, spesso, si sente l’espressione “..ma è stato un angelo!” quasi a sottolineare che l’essere umano per fare del bene abbia bisogno di una componente divina. Prioritario, allora, è che l’umanità ritrovi fiducia in se stessa e nelle proprie potenzialità, affinché alla componente umana sia attribuita una peculiarità anche salvifica, per sentirsene portatrice e attivarla, quando sia necessario, per sé e per gli altri