2018, infinito verticale


2018 alle porte, un numero nuovo da memorizzare e una nuova agenda da riempire. Per quanto non se ne sia consapevoli sono tante le aspettative che si ripongono nel nuovo anno, perché c’è il desiderio di cambiare e  di trovare stimoli per averne il coraggio. Come spesso mi è capitato di scrivere, ogni giorno che passa  non ci trova più vecchi di ieri, ma più giovani di domani, cercando di cambiare prospettiva rispetto al tempo che passa,  per  non vivere la costante sensazione di essere fuori tempo. Capita di sentire espressioni come “ormai, è tardi!”, ma qual è il metro di misura per decidere il superamento del limite?  La vita porta con sé il senso del limite, ma non è l’età  cronologica che lo decreta. Perché, allora, non provare a entrare nel 2018 con la sensazione di infinito che il numero 8 evoca, come simbolo di un infinito verticale, che ancora di più consente di elevarsi verso  nuovi obiettivi cercando se stessi in dimensioni da esplorare e conoscere?

L’augurio che si può fare a se stessi, per il 2018, è proprio quello di accompagnare il tempo come alleato di una vita che per essere vissuta ha  bisogno, paradossalmente,  del tempo, perché  ne segna  il valore infinito  nonostante la  finitezza dell’essere umano.

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

 

25 NOVEMBRE 2017

 

Introduzione al progetto:

UN’ÀNCORA PER NON DIRE PIÙ ANCÒRA:

cambiare accento per cambiare prospettiva

 

 

Quale differenza può fare un accento?

I media  riportano per l’ennesima volta la  notizia di un efferato delitto perpetrato nei confronti di una donna da parte del proprio uomo o del branco selvaggio, e l’espressione più istintiva che dirompe dalle corde vocali è : ancòra!

Se provassimo a cambiare l’accento e si cercasse un’àncora per fermare l’irrefrenabile scia di morte che l’umanità sta lasciando dietro di sè?

L’àncora  per le morti delle donne ancora non esiste,  perché non è chiaro su quale sponda debba  approdare la nave della consapevolezza del valore della vita umana. La mano del carnefice non ha età, come non ha età la vittima.

Le domande che si rincorrono nella mente per capire il senso di tanta crudeltà,  rimbalzano sul muro dell’incredulità.

Il disorientamento che si prova di fronte all’imprevedibiltà della mente umana fa vacillare ogni punto di riferimento, che si riteneva stabile nel concepire il confine tra il bene e il male.  La labilità del confine  pone l’essere umano nella zona buia della sua coscienza, dove tutto si confonde e tutto svanisce: certezza, sicurezza, chiarezza, stabilità etc. È a questo punto che si cerca un approdo per potersi fermare e gettare, così, l’àncora, per osservare, capire e cambiare qualcosa, affinché  si possa ripartire in sicurezza nella vita di tutti i giorni, senza insidie e paure.

 

L’àncora per le  vittime,  che cadono ogni giorno sul campo di battaglia per la libertà,  richiede il lavoro di tutti, per ritrovare il valore e il senso della vita  da dove ripartire, oggi più che mai, tendendo una mano alla solitudine, al dolore, alla sofferenza, al silenzio di chi non ha più voce se non per dire: ancòra!

Il verricello che accompagna l’àncora a cercare un appiglio, va attivato subito, affinché   si fermi la navigazione dell’ umanità, inconsapevole delle regole della convivenza e della condivisione. L’epoca in cui viviamo, è caratterizzata dal tutto e subito, quando, per esempio, non si sa aspettare per differire il soddisfacimento di un bisogno, la cui frustrazione può trasformarsi, per alcuni, in un delirio persecutorio. L’accelerazione della vita sta producendo una totale assenza del tempo necessario alla  metabolizzazione degli eventi, affinché si possano trarre  insegnamenti utili  dalle esperienze di vita. Gli accadimenti mortiferi di oggi, perpetrati nei confronti delle donne,  impongono una riflessione  che non circoscriva la responsabilità  all’imponderabile, ma a quanto è stato costruito in modo stereotipato negli anni intorno alla figura e al ruolo della donna all’interno della società, al punto che l’emancipazione della donna  non abbia avuto giusta corrispondenza  nella costruzione delle  coscienze. La divaricazione tra i cambiamenti che riguardano il mondo femminile, con la percezione consapevole di essi,  produce un’ inevitabile incomprensione con il mondo maschile che, per quanto accetti razionalmente l’emancipazione della donna, ancora non ne è pronto emotivamente, culturalmente, antropologicamente a interiorizzarlo.

L’àncora, simbolo del cambio di prospettiva, richiede un cambio di accento nella  cultura, nell’ambiente educativo e pedagogico da parte delle famiglie e delle istituzioni, oltre al cambio di accento  nelle aspettative di   funzioni  femminili, in considerazione  del  ruolo che ha  la donna all’interno della società del terzo millennio.

Il tempo del  cambiamento delle coscienze, sarà lungo e impervio, però possibile, ma sarà necessario un tempo lento e costante, perché l’essere umano non è un robot,  la vita non è un computer e, ancora di più, è irripetibile e irreversibile. Il pensiero irreversibile è un’acquisizione  matura fin dall’infanzia, ma  che l’adulto ha inibito nella presunzione onnipotente  di poter rimediare a  qualunque comportamento, paradossalmente, anche mortifero, come se fosse  concesso un game over.

Solo recuperando il tempo, il significato, il valore e il rispetto per la vita propria e dell’altro,  è possibile cambiare prospettiva e cambiare accento, per trovare il giusto passo verso la consapevolezza.

 

Il progetto “Un’àncora per non dire più ancòra” è partito l’8 marzo 2017 e continuerà il suo cammino con iniziative che  cercheranno di dare continuità alla riflessione psicologica sul mondo femminile.

 

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

Concerto per l’Ombra

CONCERTO PER L’OMBRA

 

La possibilità di assistere a un concerto in un   carcere è un’esperienza che travalica qualunque aspettativa. Quando si  ascolta un concerto in un auditorium o in un teatro, ci si trova immersi in un’atmosfera suggestiva, che consente di sprofondare nella rete pentagrammata che la composizione eseguita consente, per lasciarsi  andare alla leggerezza della musica, ipotizzando che le stesse sensazioni possano essere riproducibili in qualunque situazione analoga, ma non è così!   Il luogo in cui si svolge un concerto ha la sua peculiarità,  che ne caratterizza il senso e la finalità. Se, infatti,  il luogo è un carcere e   gli spettatori sono detenuti,  la musica assume un valore indescrivibile.  Le regole cambiano, non si entra con un biglietto, ma con un permesso e gli spettatori  non entrano  come capita un po’ alla volta, ma tutti insieme, come un nucleo uniforme senza identità e senza individualità.  Un nucleo  di energia compressa e blindata, affinché possa depotenziarsi attraverso la contenzione al di là del contenimento.   Il piccolo popolo tra le sbarre evoca il piccolo popolo che abitata in ognuno di noi e che chiede di essere ascoltato, accolto e  decodificato per essere tradotto nella luce della coscienza e  renderlo comprensibile  nel suo significato.  L’ombra lunga della colpa  cela il tormento  di una vita  che stenta a trovare un suo centro intorno a cui edificare progetti e desideri, invece di  azzardo e trasgressioni.  L’incontro con il piccolo popolo, che dall’immaginario collettivo entra nella realtà individuale,  ha un effetto dirompente che esplode in un’emozione che apre varchi tra sbarre e recinti fino ad arrivare al cuore di ognuno.   La musica   fa dileguare  per un attimo l’ombra dell’umanità per lasciare il posto a un raggio di luce  che si fa strada tra le lacrime che furtivamente si asciugano, ma che lasciano un segno. Il concerto per l’Ombra, archetipo che si attiva nei momenti più bui della coscienza e dirompe improvvisamente, è un evento paradossale, perché la musica è espressione della massima creatività dell’essere umano frutto dell’integrazione degli opposti, mentre l’ombra è rappresentativa della più profonda scissione della coscienza dai suoi  aspetti più oscuri. Il paradosso musicale per l’ombra, però,  sintetizza quanto un luogo di detenzione si prefigge e, cioè, restituire  al detenuto una nuova individualità  consentendo una congiunzione degli opposti, affinché la consapevolezza diventi guida per la costruzione  di una coscienza di sé e delle proprie potenzialità da sviluppare al servizio della  costruttività.  La chiave musicale è una chiave universale che consente di accedere a un’esistenza autentica in un percorso individuativo,  in cui dare senso alla propria vita  al di là del Bene e del Male.

 

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta