IL GIUBILEO DELL’ARTE

Questo articolo è stato pubblicato nel n.29/2015   della rivista Urbis et Artis e, in occasione della giornata inaugurale del Giubileo 2015, ripropongo per i lettori di Thirdlife.it

 

IL GIUBILEO DELL’ARTE

8 dicembre 2015, inizio del  Giubileo straordinario, indetto da Papa Francesco. In anticipo di  dieci anni  si aprono le Porte Sante  per consentire  il passaggio del sacro soglio a  milioni di persone. Un evento spirituale che coinvolge il mondo cattolico, ma che scuote le coscienze di tutti, perché  il Giubileo è l’anno dell’ indulgenza, della remissione dei peccati e della purificazione dell’anima.   Gli uomini e le donne sono chiamati a un bilancio della propria esistenza, attraverso un atto introspettivo e meditativo. Non a caso nel mondo ebraico, dove  ebbe inizio   il Giubileo, l’anno giubilare prevedeva la sospensione del lavoro  per vivere dei frutti spontanei della terra,  in contatto diretto con la Natura.  Oggi sarebbe difficile sospendere il lavoro, ma vivere  con maggiore consapevolezza a stretto contatto con il mondo della Natura dovrebbe essere possibile. 

L’Arte può segnare la strada  per percorrere questo anno santo alla ricerca della  spiritualità, per elevare gli animi  e alleggerirli  dei carichi pesanti della fatica di vivere.  Il sentiero dell’ Arte, che ognuno di noi può conoscere seguendo la forma espressiva più congeniale a sé,  consente di trovare o di ritrovare la propria autenticità, unica condizione per  intraprendere il cammino della consapevolezza.

Ritornare al centro per ripartire dal centro, simbolicamente  rappresentato dal  pellegrinaggio verso la Basilica di San Pietro, centro della Cristianità, dove il pellegrino  giunge appesantito da catene  ingombranti  e  da dove riparte alleggerito e liberato da ogni schiavitù.

 L’anno giubilare inizialmente ricorreva ogni 100 anni, poi  alcuni  Papi lo hanno anticipato a 50 e a 25 anni, ritenendo, forse, di consentire a più generazioni l’accesso alla remissione dei peccati. Da qui si può desumere che, oggi. non si potevano aspettare altri dieci anni per il Giubileo  e quindi per la redenzione dell’anima, perché l’umanità   sta perdendo il senso della vita e del suo valore intrinseco.  Il soffio vitale che accompagna l’essere umano fin dalla nascita, è depotenziato dalla rabbia, dall’insoddisfazione, dalle ingiustizie  che inaspriscono gli animi al punto di legittimare qualunque azione, spesso distruttiva e mortifera,  finalizzata alla rivendicazione dei propri  “diritti”.  Una conversione di tendenza è possibile solo se si riprende in mano la propria esistenza  oltrepassando la soglia delle paludi  mortifere della negatività, per accedere alla dimensione  salvifica della creatività.  Qui l’arte  tende una mano forte e coraggiosa per sostenere la purificazione dell’anima, al  di là del credo religioso, perché  i luoghi dell’arte sono anche i luoghi dello spirito e dell’anima  e  qualunque produzione artistica non sarebbe possibile senza l’ascolto di sé nella consapevolezza di sé.

Arte, spiritualità, anima, natura, quindi,  costellano un universo  di tematiche su cui poter riflettere per un tempo infinito, ma  che riconducono sempre e comunque all’essere umano e al suo Giubileo.

          Sira Sebastianelli

ASILO&ISOLA:anagramma dell’anima

ASILO &  ISOLA: anagramma dell’anima

 

Sono, ormai, anni che vediamo, su tutti i media, barconi o gommoni carichi di persone che si spingono verso le coste italiane o greche per chiedere asilo. Barconi il cui scafo sprofonda in mare, lasciando affiorare a pelo d’acqua le sagome di donne, uomini e bambini, talmente pigiati l’uno contro l’altro che se ne perdono i contorni.  Non tutti, purtroppo, raggiungono la terra, ma chi, ne ha la fortuna, tocca il suolo dell’isola agognata  senza sapere  che nella lingua italiana isola è l’anagramma di asilo.

Nel  desiderio di salvezza  un’inconsapevole  congiunzione di due miraggi: asilo & isola.

In questi giorni la migrazione di tante persone segue le vie di terra, ma sempre con lo stesso scopo   di trovare una metaforica isola  di salvezza che dia asilo.

Asilo è il luogo da dove non si può essere portati via,  in cui si è al sicuro, e  l’isola  è un luogo che il mare protegge, ma che a volte imprigiona per la tempesta dei flutti.  Due termini che intrinsecamente racchiudono uno stesso significato rappresentato simbolicamente  da un cerchio,  all’interno del quale si è  protetti, ma dal quale  non sempre si può uscire.

La via di uscita sta nel superamento degli ostacoli  prodotti dalla paura del cambiamento che inevitabilmente la nuova realtà migrante produce.  Proprio quando si ha paura,però, si cerca un posto sicuro dove trovare rifugio e ognuno di noi avrebbe  diritto ad un’isola su cui approdare per chiedere asilo, per poterne  ripartire rinfrancati e rassicurati.  Come nell’infanzia il posto sicuro era il grembo materno oggi è la Grande  Madre, archetipo risvegliato dalla necessità di accogliere e nutrire.

Sira Sebastianelli

psicologa-psicoterapeuta

L’ATTESA TRA DESIDERIO E DELUSIONE

L’ATTESA TRA  DESIDERIO E DELUSIONE

La promessa di rivedere con più flessibilità la riforma Fornero  del 2011 (che ha elevato l’età per andare in pensione)  da parte dell’attuale governo Renzi, rimodulandone i limiti dell’età di uscita dal lavoro,  sembra non essere stata rispettata, almeno a quanto si legge sulla stampa in questi giorni. Una nuova doccia fredda per tutte le donne e gli uomini  che  speravano in un  cambiamento dei limiti d’età per raggiungere l’obiettivo pensione.  Già nel 2011,  commentando, in un’intervista sulla stampa, da un punto di vista psicologico la legge Fornero,   evidenziai i rischi  probabili che  l’aspettativa negata del desiderio di cambiare vita e di vedere realizzati i sogni di un meritato riposo, si sarebbero potuti  produrre sulla salute psico-fisica delle persone.    Le conseguenze possono investire  la sfera vitale di una persona che vede la propria progettualità  implodere  insieme alla speranza di  cambiamento,  per l’impatto con  il  muro delle logiche dell’ economia e della finanza internazionale   che massificano    le differenze e le diversità di ognuno.

Il lavoro dà dignità, ma non averne il riconoscimento del limite dà disperazione. L’impotenza attiva  passività che va a nutrire una vena depressiva di cui non è possibile  prevederne la profondità.  La pensione riguarda persone che hanno raggiunto già i sessant’anni d’età, ciò significa che le risorse per reagire alle avversità o all’imprevisto non sono le stesse che si potrebbero avere a trenta o a quarant’anni. A volte il lavoro è usurante, poco o per nulla gratificante,  ripetitivo,  che sollecita aggiornamenti tecnologici spesso frustranti per chi non ne ha più l’elasticità mentale, perché, allora, prolungarlo per tempi  psicologicamente incongrui?  Perché non lasciare  che sia facoltativa la decisione di elevare i propri tempi  per  andare in pensione, considerando che le differenze tra il  lavoro e gli individui che lo svolgono sono innumerevoli? Anche la differenza di genere non va trascurata, le donne, per esempio, sono, nel corso della loro vita, impegnate su più fronti (lavoro, casa, figli, genitori anziani,etc.), e più cresce l’età  più  cresce il loro desiderio di  recuperare il tempo per se stesse.

La qualità di vita andrebbe tutelata ad ogni costo, perché la vita è una, ed è un diritto viverla come si desidera dopo trenta e più anni di lavoro.  Purtroppo,  con  l’età che avanza  cresce anche il rischio di  soffrire di patologie che appesantiscono la quotidianità lavorativa con ripercussioni inevitabili  sul benessere generale.  Il dilemma “lavorare per vivere o vivere per lavorare” dovrebbe  trasformarsi nell’ affermazione “poter vivere anche dopo avere lavorato”.

Sira Sebastianelli

psicologa psicoterapeuta

10 maggio “Festa della mamma”

10 maggio festa della mamma

 

10 maggio, un giorno in cui si festeggia la mamma, ma più efficacemente il materno.

È  una giornata in cui si rievoca un’ antica e ancestrale sensazione di nutrimento, cura e calore che appartiene a tutti, anche nel caso in cui  una madre da festeggiare non ci sia  più. Il ricordo indelebile della esperienza del materno è  un’impronta nell’anima che diventa una carta di identità dell’esistenza. Sì, perché la profondità della compressione digitale nell’involucro psichico  produce una differenza sostanziale nel vissuto del materno   in ogni essere umano. Una giornata di riflessione, quindi, per entrare in quest’involucro e recuperare la funzione materna, attivandola dentro di sé, insieme alla cura, al  nutrimento e al calore.

Il termine madre nella lingua indoeuropea ha il significato di misura, di limite, di materia (come sostanza definita da un limite) che in latino e in greco si arricchisce del concetto di curarsi e di medicare. Madre, quindi, “colei che si occupa dei limiti naturali della vita umana” (Rendich,F., Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee, Palombi editori, Roma, 2010, pag.283).

In sintesi, la madre  preserva e perpetua  ciò che ha un inizio e ha una fine, cioè la vita. Una cura che dura nel tempo  e che ogni individuo dovrebbe avere nei confronti di sé stesso durante la sua esistenza, senza deleghe, ritrovando l’illimitata accoglienza  materna. Sembra tutto semplice, ma, in effetti, non è così. L’attivazione della funzione materna interiore, per gli uomini come per le donne, trova l’ostacolo della difficoltà a rivolgere verso se stessi ciò che è più facile rivolgere agli altri.  Per esempio, è più naturale nutrire gli altri piuttosto che se stessi, poiché  il bisogno dell’altro  è sempre più chiaro rispetto al proprio! Come mai? Eppure, viviamo in  un mondo dove sembra prevalere l’egoismo, dove le persone  pensano solo a sé,  dove si sgomita per raggiungere qualunque bouffet!  Nutrirsi, riconoscendo realmente di cosa si ha bisogno non è semplice,  tale percezione presuppone una conoscenza della propria interiorità  e soprattutto una consapevolezza  di quello che si ha per individuare quello che manca. Operazione di discernimento  complessa, in quanto si tende a rispondere alle  diverse necessità sempre nello stesso modo, senza diversificare, esplorando anche nuove strade. Così facendo non ci si nutre, ma ci si iperalimenta, rendendo obesa l’anima, che si fa pesante e ingombrante. Allora diventa prioritario tornare alla misura, che il materno ha insegnato e insegna come conoscenza, come riflessione e come pensiero di cura del corpo e dell’anima.

 

 

 

ECLISSI DI PRIMAVERA

ECLISSI  DI  PRIMAVERA  20 marzo 2015

Equinozio  di primavera* ed eclissi di sole. Sembra un ossimoro!  La primavera non può fare il suo ingresso  con il sole offuscato, parzialmente o totalmente,  dalla luna. Il sole dovrebbe rinascere a primavera, perché dovrebbe accorciare la sua ombra per risvegliare le gemme, ma la luna invade il campo solare per essere protagonista, almeno una volta, dell’equinozio  di marzo.

La luna, simbolo femminile,   chiede visibilità  togliendola, forse  per invitare  la coscienza degli abitanti della Terra ad una riflessione insolita, ma necessaria?  Un invito ad osservare  l’ombra della luna, in un momento storico in cui la luce abbagliante del sole, simbolo maschile, produce miraggi mortiferi?

Tra  le popolazioni primitive eventi  come  l’eclissi del sole, producevano spavento e presagi di sventure, perché ignoravano cosa realmente accadesse. Oggi le sventure accadono al di là dei presagi e a conferma di ciò è sufficiente aprire la finestra sul mondo per vedere fuochi di distruzione e sentire  echi di esplosioni.  Allora, perché non ascoltare la voce della Luna che si scomoda per indurre  nell’essere umano  la  consapevolezza di quanto possa essere effimero pensare di poter dominare il Mondo,  all’interno di un Universo infinito, che, se decide di muoversi, non lascia scampo?

Tante domande che non trovano risposte e non prevedono risposte, perché ogni essere umano è portatore di conoscenza e tutto quello che dovrebbe  sapere può trovarlo dentro di sé  tra le luci e le ombre della propria esistenza,  affinché l’eclissi non sia della  coscienza.

 

*astronomicamente cade il 20 marzo

8’AVA NOTA

                                            8’ava nota

8’ava nota, la nota delle donne. Una nota che non c’è, o forse c’è, ma bisogna saperla cercare, perché non è prevedibile e non è scontata. Difficile dire se, collocare l’8’ava nota al di fuori della scala musicale, sia una caratteristica di distinzione o meno. Sicuramente è un suono a cui bisogna educare l’orecchio, non tanto quello fisico, quanto quello psichico.

Non esiste diapason che lasci vibrare l’8’ava nota per accordare il pensiero, come non esiste metronomo che ne scandisca il tempo.

Sia il  pensiero  che  il tempo delle Donne  sono cambiati  nel corso di  centinaia di secoli, con il contributo di donne coraggiose  conosciute e sconosciute, che hanno, tutte, rivendicato il diritto di vivere nel mondo senza confini. L’8’ava nota vibra  segnando una strada invisibile su cui faticosamente camminano le donne. L’8’ava nota vibra ancor di più l’8 marzo, giorno in cui ricorre “La Festa della Donna”,   quando si  organizzano eventi per sensibilizzare l’attenzione intorno al complesso mondo femminile.

Nel 2013, sempre su questo blog, misi l’8 marzo tra parentesi (8). Oggi all’8 pongo l’apostrofo, un segno di elisione che lascia presumere che qualcosa sia caduto, per lasciare il posto ad una presenza-assenza,  come le donne che ci sono, ma non ci sono.

Per esemplificare, prendo spunto da un evento di un anno fa quando si costituì il nuovo e attuale  Governo che divideva nelle giuste percentuali i  Ministeri  tra gli uomini e le donne. L’ operazione aritmetica  venne più volte rimarcata dai mass media  come un successo della legge  per le  pari opportunità e delle quote rosa.
Bene, anzi benissimo!

Però, finché ci sarà bisogno di sottolineare il numero delle donne, la parità è lontana, perché le donne dovrebbero esserci per diritto naturale e non legislativo.

Se il mondo, maschile e femminile, fosse uno spartito musicale,  sui righi e negli  spazi del pentagramma ci sarebbe posto per tutte le note, senza discriminazioni, nel rispetto obbligato della legge dell’Armonia Musicale. Ma, ahimè, così non è. La nota femminile è l’8’ava, e non trova posto naturalmente, bisogna crearlo.

In questi giorni Christine Lagarde, Direttrice del Fondo Monetario Internazionale, ha commentato, sul suo blog, i risultati di una ricerca circa i danni del sessismo nel mondo del lavoro, evidenziando la difficoltà delle donne ad avere un ruolo economicamente attivo.  A ciò ha fatto eco anche la dichiarazione di Patricia Arquette  che durante la Notte degli Oscar ha chiesto che le attrici avessero un trattamento economico pari a quello  degli attori.

Ovviamente l’equilibrio di genere non si riduce al potere economico,  ma forse è l’aspetto più, quantitativamente, misurabile.

Donne depotenziate, quindi, affinché  l’8’ava nota risuoni piano pianissimo, senza impeto e fuoco. Per fortuna,  però, il mondo femminile il fuoco lo porta dentro di sé, vivificante e salvifico per il genere umano, al di là di un forzato equilibrio di genere.