capodanno

2013…..2014

 

 

È preferibile scrivere sull’anno vecchio che muore o sul nuovo anno che nasce?

 

L’ultimo o il primo? 

 

Tendenzialmente è più facile protendersi verso il futuro, buttandosi alle spalle ciò che è stato e pensare a tutti i buoni propositi da realizzare  nel nuovo anno. È pur vero che la sensazione di essere nel nuovo anno dura qualche giorno, perché la routine quotidiana ripristina fedelmente lo stile di vita e di pensiero del vecchio anno, relegando i buoni propositi in un anfratto nascosto della memoria.  Sicuramente non viviamo un’ epoca che alimenti le speranze per un cambiamento, tanto che mantenere ciò che c’è  è  considerato un successo, ma quando si pensa al cambiamento dovremmo alludere, soprattutto, al punto di vista con cui guardiamo il mondo in cui viviamo, con tutto il suo contenuto tangibile.

 

Allora, ultimo o primo?

 

Senza l’ultimo non ci sarà il primo. L’ultimo  giorno muore, ripiegandosi su se stesso come una pianta  per rilasciare  i semi  nella terra, da dove nascerà una nuova vita. Senza ciò che abbiamo vissuto, non ci potrà essere ciò che vivremo, la continuità aiuta a non riporre troppe speranze in un rinnovamento magico, ma a coltivare i semi che potranno produrre e realizzare i progetti desiderati.

 

Il passaggio dal vecchio al nuovo, è racchiuso nel rituale simbolico della eliminazione di oggetti che non servono più, in passato defenestrati fisicamente sulle strade sottostanti, fortunatamente oggi non più in uso, ma che procurava, probabilmente, una efficace separazione catartica dal vecchio. Utile sarebbe fare spazio dentro di sé, oltre che fuori, per accogliere il nuovo, affinché trovi spazio per crescere. 

 

La notte di Capodanno, in genere, ha come sinonimo la notte di San Silvestro, essendo il Santo che la Chiesa annovera il 31 dicembre, chiamato “Confessore”.

Ecco, forse per ricavare il giusto spazio per accogliere il nuovo, riuscendo a buttare il vecchio, potrebbe essere proficuo vivere nell’ultimo giorno un momento di introspezione. Un ripiegamento su se stessi  per confessare   i progetti in sospeso che vorremmo portare a termine o che dovremmo rivedere o che dovremmo rinnovare nel nuovo anno, insieme alle paure, che rallentano la loro realizzazione, per   poterle conoscere e poterle vivere entrandoci dentro, attraversandole. 

Così come attraversiamo la vita, attraversiamo le paure per avviarci ad accogliere il nuovo come una vera epifania.

 

L’Arte nella Psiche

                                                  L’Arte nella Psiche

 

 

Nella psiche c’è arte?

 

In qualunque  forma d’arte c’è, sicuramente, una psiche che si esprime, ma in ogni psiche c’è arte?

Potenzialmente si potrebbe rispondere affermativamente, ma non si ha certezza che l’arte contenuta nella psiche si palesi sempre.

 

Nel centro storico della  capitale del Portogallo, Lisbona, si può osservare una scultura, che raffigura   lo scrittore Fernando Pessoa. La testa della scultura, realizzata in bronzo, è stata  sostituita da un libro aperto, con le pagine in apparente movimento, quasi a simboleggiare tutto il valore artistico  della produzione letteraria di Pessoa.    L’immagine è molto suggestiva, tanto da  indurre la fantasia  di poter leggere la psiche, sfogliarla come un libro, pagina per pagina. Se fosse possibile,  piuttosto che interessarmi alle pagine scritte della psiche,  andrei a cercare quelle ancora da scrivere, per verificare  quanto ancora c’è da conoscere,  da immagazzinare e da creare, oltre che da pensare.

Pensiero,  creatività, arte: tre fasi della produzione di un’ Opera, si parte da un pensiero creativo per arrivare alla produzione artistica. L’arte, però, a differenza del pensiero e della creatività non si coniuga, si può solo declinare.

Pensiero=pensare, creatività=creare, arte=?.  

Arte: sostantivo senza verbo.  

L’arte  non è Verbo, non è Verità assoluta, ma verità  per chi la vive e  per chi la abita. È  possibile sapere cosa s’intenda per Arte, ma non è possibile risalire alla sua essenza, cioè capire razionalmente cosa realmente sia.   L’Arte, in fondo, non ha bisogno della razionalità, per essere capita, ma ha bisogno di essere accolta dal  sentimento, dalla sensazione e dalla percezione tattile dell’impalpabile. L’incontro con l’Arte avviene nei meandri reconditi della Psiche,  dove  il talento  nutre lo sforzo del desiderio di esprimersi. 

Nella lingua latina, infatti,  il termine ars indica “disposizione naturale” “talento” “arte”, mentre nell’idioma sanscrito  la radice arth indica “sforzarsi di ottenere” “desiderare”, come se dall’intreccio delle radici linguistiche nascesse l’Opera d’Arte,  che, quanto più è perfetta tanto più non lascia traccia, come afferma il poeta coreano Ko Un.

A questo punto, tornando alla domanda iniziale: “Nella Psiche c’è Arte?”, si può rispondere che sicuramente c’è, se si cerca l’incontro con quell’artista interno che  abita in ognuno di noi, troppo spesso relegato nell’ anfratto buio dell’ inconsapevolezza, perché il suo nutrimento richiede lo sforzo della ricerca dell’autenticità, all’interno della quale è racchiusa l’essenza dell’Arte.

 

 

 

Il rumore della mancanza e il silenzio dell’assenza

 Il rumore della mancanza e il silenzio dell’assenza 

 

Quanto ci rendiamo conto nella vita quotidiana  delle assenze?

Spesso pensiamo a ciò che manca, come se fosse assente, ma  le assenze non sono mancanze. L’assenza è qualcosa di diverso rispetto alla mancanza. 

Quando una persona muore si  usa dire “è mancatanonè assente”. 

L’assenza è una sospensione dell’esistenza, mentre la mancanza è l’eliminazione dell’ esistenza. 

Sono stata assente da questo blog per un po’ di tempo, ma non mancante. L’assenza può essere molto più di una presenza.  Il silenzio è assenza di parole, ma non di significato.  A volte il silenzio è un evidenziatore della percezione dell’assenza, che non andrebbe confuso con  il rumore della mancanza.

Un blog è fatto di parole, ma può essere anche fatto di silenzi, specialmente quando ciò che si desidera esprimere, è meglio rappresentato dall’assenza? Vero è che  il mondo virtuale sia caratterizzato da immagini e da parole, mai dalla  loro sospensione, che sarebbe percepita   come mancanza  e non come assenza. 

L’esistenza degli uomini e delle donne,  però, è costellata di assenze  e di silenzi, perché non costellarne anche il mondo virtuale?  Il coraggio dell’assenza potrebbe aiutare a riflettere meglio sulla necessità della presenza e sul significato della mancanza.

8 MARZO

(8)

MARZO

 

 

8 Marzo tra parentesi. Una parentesi che si apre e una che si chiude. Due parentesi che contengono una ricorrenza  consumata   in ventiquattro ore.   È sufficiente leggere le notizie che arrivano da tutto il Mondo, Italia compresa, che riguardano uccisioni,maltrattamenti  e stupri, perpetrati nei confronti delle donne di tutte l’ età, dalla più tenera alla più vetusta, per capire che le parentesi  erette sono di cemento armato.

Non sarà un caso che il fiore simbolo di questo giorno sia la mimosa, i cui rami recisi hanno  vita brevissima.  Vita brevissima, come tutti i buoni propositi  che animano le dichiarazioni che si registrano l’8 marzo, da parte di chi potrebbe e chi  dovrebbe adoperarsi per tutelare la dignità umana che in questo giorno si  declina al femminile.  Chi può e chi deve siamo tutti noi  che spesso osserviamo il mondo femminile  per giudicarlo, piuttosto che  per comprenderlo.  La comprensione nasce dalla conoscenza che non è fatta di stereotipi e di pregiudizi, ma di considerazione della diversità e della differenza.  La Terra  delle donne non è rotonda, ma è sfaccettata come un diamante, frutto della terra di frontiera dove le donne vivono, quotidianamente, per rivendicare i propri  diritti e per assumersi i propri doveri.  Un diamante è sempre prezioso, grezzo o meno che sia, ed è una risorsa da valorizzare e non  da rubare o da nascondere o da esibire, lasciando che risplenda in tutte le sue sfaccettature per esaltarne l’intrinseca luminosità. Proviamo a guardarci intorno e  cerchiamo di  vedere se arriva qualche raggio di luce  prismatica dai quotidiani, dai TG, dalla pubblicità, dove ancora si sente dire che “l’uomo è cacciatore”, dai luoghi di lavoro dove le donne ancora si scontrano con i soffitti di cristallo, proviamo a cercare e se troviamo questa luce l’8 marzo non sarà più tra parentesi.

 

 

 

La memoria tecnologica


Il 30 gennaio 2005, ho scritto quanto segue:
Negli archivi della memoria dell’uomo del terzo millennio troviamo sicuramente più numeri che parole. L’accesso alla tecnologia è consentito per lo più attraverso numeri  segreti     da memorizzare a  tutela della propria privacy. Si è arrivati ad un punto in cui  senza i codici numerici non si accende la vita, e vitale è ricordarli!
In passato le combinazioni di numeri riguardavano solo le casseforti  dal contenuto prezioso, oggi  le combinazioni di numeri sono necessarie per prelevare i soldi dal bancomat, per accedere al proprio computer, per accendere il telefono cellulare e  anche  per entrare in casa  dove la serratura non  serve più, se ci sono numeri da digitare.
A questo punto si potrebbe, affrettatamente, desumere che la memoria  diventi prodigiosa con questo allenamento quotidiano, eppure non è così.
Con maggiore  frequenza si dimenticano non solo i numeri, ma anche gli impegni di lavoro, gli appuntamenti dal dentista, i figli a scuola, le bollette da pagare, i compleanni  e  l’elenco potrebbe continuare all’infinito.

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Lisboa

Oggi, 21 gennaio 2013, sul quotidiano La Repubblica, Alberto Arbasino ha scritto un articolo su Lisbona e di quanto gli spazi culturali della città  stiano risentendo della crisi economica. Nell’articolo, Lisbona  è definita “la capitale più malinconica d’Europa”, ed è incredibile come, questa splendida città, offra molto spesso  questa percezione  tinta di grigio scuro.
La  portoghese Lisboa, in effetti,  è un luogo di una bellezza crepuscolare che aumenta il suo fascino con la luz della notte.
Primo, e, nello stesso tempo, ultimo baluardo del continente occidentale, sembra fuggire, scivolare via verso l’oceano, per ricongiungersi al Nuovo Mondo, quasi a seguirne il richiamo.  Un richiamo ambivalente, tra il desiderio di partire e nello stesso tempo di restare, che implode nella melodia del Fado in tutta la sua dirompenza nostalgica.
Una città  che indugia nel passato, ma che osserva con circospezione e un po’ di inibizione, l’arrivo  del nuovo che avanza, con polverosa fatica, ma con tanta dignità.  La stessa dignità dei suoi abitanti, taciturni,  nervosi che ridono poco, percorsi da una   vena malinconica  che, simbolicamente,  i loro mitici tram tracciano  su  tortuosi binari.
Una città dalla bellezza intrinseca come le opere del suo più rappresentativo esponente della letteratura: Pessoa, che faustianamente troneggia e campeggia  sulla città.

Lisbona è una città che si scopre un po’ alla volta, gradualmente nel tempo, attraverso la traccia che il ricordo imprime nella memoria, soprattutto quando si è lontani. Molti sono gli artisti che  hanno scritto, dipinto, fotografato o filmato la città di Lisbona,  rapiti dall’ abbondanza delle emozioni che  riesce a evocare,  nel silenzio dello scorrere delle sue maestose nuvole.

A questo punto non posso  che dire: obrigada, Lisboa.